La fatica è una delle condizioni meno studiate nel diabete. Un team olandese ha valutato l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nella riduzione del sintomo. Lo studio è stato pubblicato da The Lancet Diabetes and Endocrinology
(Reuters Health) – Un nuovo studio randomizzato e controllato – pubblicato online da The Lancet Diabetes and Endocrinology – dimostra che la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), erogata sia frontalmente, sia via web, riduce notevolmente la stanchezza nei pazienti con diabete di tipo 1. Si tratta della prima ricerca clinica che ha indagato sulla fatica nei diabetici di tipo 1. Juliane Menting e colleghi, del VU University Medical Center (Olanda), riferiscono nella loro relazione che buona parte (fino al 40%) dei pazienti affetti da diabete di tipo 1 presenta una forma di stanchezza cronica, definita come un’importante stanchezza che dura almeno da sei mesi. L’impiego della terapia cognitivo-comportamentale per curare la stanchezza cronica – basato sull’idea che se la malattia provoca la stanchezza sono tuttavia i fattori cognitivi-comportamentali che “mantengono” i sintomi – ha dimostrato di essere efficace nei pazienti sofferenti anche di altre malattie croniche.
Lo studio
Menting e il suo team hanno diviso casualmente 120 pazienti in due gruppi. Il primo ha ricevuto per cinque mesi la terapia comportamentale cognitiva, mentre il secondo è stato inserito in una lista di attesa. I pazienti del gruppo trattato sono stati sottoposti a 5-8 sedute faccia a faccia con uno psicologo clinico e hanno completato 8 moduli via web. “Nel trattamento i pazienti imparano, per esempio, a regolare meglio la loro attività fisica o a ottimizzare il ciclo sonno-veglia o a cambiare le loro idee negative sulla fatica”, spiega Menting. “L’obiettivo del trattamento non è quello di imparare a far fronte alla fatica, ma quello di ridurre effettivamente la stanchezza”. Alla fine del trattamento, i punteggi relativi al grado di severità della fatica nei pazienti del gruppo CBT erano di 13,8 punti inferiori rispetto al gruppo di controllo (p <0,0001).
I commenti
“Nonostante i risultati promettenti, è necessario proseguire con le ricerche per dimostrare se gli effetti del trattamento possono essere mantenuti nel tempo e per trovare le spiegazioni del suo funzionamento”, commenta Juliane Menting. “La mia impressione è che la stanchezza sia spesso trascurata, a causa delle limitazioni di tempo connesse alla pratica clinica. Chi ha in carico il paziente diabetico è spesso concentrato su obiettivi di trattamento”, aggiunge Frans Pouwer, dell’University of Southern Denmark di Odense. Nell’editoriale che ha accompagnato la pubblicazione dell’articolo, Pouwer osserva che alcuni studi hanno suggerito come l’ipoglicemia notturna contribuisca alla stanchezza, ma gli autori non hanno affrontato questo problema nello studio. “Anche se i risultati del team di Menting devono essere confermati in ulteriori studi, quanto è emerso suggerisce che l’affaticamento cronico nel diabete di tipo 1 è suscettibile di trattamento. È una notizia positiva sia per i pazienti, sia per la ricerca futura in questa area poco esplorata”, conclude Pouwer.
Fonte: Lancet Diabetes Endocrinol 2017
Anne Harding
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)