Il caregiving familiare in Italia è soprattutto nelle mani delle donne, che ne avvertono tutto il peso e che si trovano a dover bilanciare questo impegno con le proprie necessità, i propri interessi e le proprie aspirazioni. Per quasi 9 donne su 10 questa è una realtà quotidiana e per 1 su 5 si tratta di un impegno sentito come gravoso, poichè alto è il loro livello di coinvolgimento. Una ricerca condotta da Ipsos per Farmindustria, su un campione di 800 donne adulte in Italia.
Si tratta di vere e proprie manager delle cure familiari che assistono un parente ammalato o disabile e parlano con il medico di famiglia, il pediatra, il cardiologo, l’oncologo e così via. Donne che per conciliare esigenze familiari e lavorative trascurano gli interessi personali e persino la salute. E in alcuni casi sono lasciate sole nella gestione della propria malattia, anche se grave.
È questo il quadro che emerge dall’evento di Farmindustria, in collaborazione con Onda, “Soprattutto donna! Valore e tutela del caregiver familiare” in programma oggi a Roma presso il Tempio di Adriano. Le donne ricoprono un ruolo sociale che produce risparmi economici per le casse dello Stato. Hanno quindi bisogno, come risulta da un’indagine Ipsos, di un welfare che le aiuti a prendersi meglio cura della famiglia e ovviamente di se stesse. Una funzione che è svolta in via sussidiaria dalle industrie.
Nelle imprese del farmaco il welfare aziendale è molto sviluppato anche più di altri settori. Il 100% delle donne ha a disposizione previdenza e sanità integrativa – grazie sia al Contratto collettivo sia alle tante facilitazioni aggiuntive offerte dalle stesse aziende – e il 70% servizi di assistenza, nel 32% dei casi specificamente per i familiari anziani o non autosufficienti.
E oltre il 90% delle lavoratrici nelle imprese del farmaco può utilizzare servizi per “dilatare” il tempo che sembra non bastare mai quali trasporti, mensa, carrello della spesa o altri fringe benefit. Senza dimenticare agevolazioni come il part-time o lo smart working.
“Le donne oggi sono sempre più ‘superdonne’ – ha commentato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria –. Sono loro infatti la vera colonna portante della famiglia e della società. Proprio per questo vogliamo lanciare un’alleanza terapeutica che definiamo della tripla A (Appropriatezza-Aderenza-Alleanza). Con l’organizzazione di corsi specifici per i medici di medicina generale e i pediatri che a loro volta possono contribuire alla formazione delle caregiver all’appropriatezza e all’aderenza delle cure”.
“L’industria farmaceutica è consapevole del ruolo della donna – ha precisato Scaccabarozzi – perché, da anni, è ‘rosa’: la quota femminile è del 42% sul totale, con punte di oltre il 50% nella R&S. Un dirigente su tre inoltre è donna, mentre negli altri settori la quota è di uno su dieci.
Ecco perché le imprese si sono dotate di un welfare che permette di conciliare lavoro e vita privata. Abbiamo dimostrato di essere un settore innovativo – 4.0 – anche da questo punto di vista. Rispondiamo alle necessità attuali con strumenti diversi e flessibili e non ci accontentiamo. Vogliamo insistere sul fattore “D”, come donna. E trovare soluzioni concrete che possano essere di supporto alle donne”.
“Si può fare di più e ne siamo consapevoli. Ma partiamo già da risultati incoraggianti. Le nostre aziende – ha concluso Scaccabarozzi – vogliono avere obiettivi sempre più ambiziosi e diventare un esempio da seguire. Tenaci e forti come le donne.”
L’indagine sul ruolo della donna come protagonista e influencer nel caregiving
Dallo studio, condotto in esclusiva da Ipsos per Farmindustria, su un campione di 800 donne adulte in Italia, si evince che soltanto per il 14% delle italiane di 18 anni ed oltre, il coinvolgimento come care giver è nullo o quasi. Per il restante 86%, con diversi gradi di intensità, l’equilibrismo tra molteplici ruoli e compiti è un esercizio quotidiano.
In particolare, le necessità familiari che ruotano attorno alla sfera della salute, sono in elevata misura di competenza delle donne che sono presenti al momento della prevenzione (66%), vegliano su lpercorso terapeutico (65%), sono l’interlocutor eprivilegiato del medico nella fase della diagnosi (58%), e della terapia (59%).
Tale incombenza è ancor più intensaquando si tratta della salute dei bambini, allorchè la donna delega solo in una ristrettissima minoranza di casi al proprio partnerla cura (6%) e l’interlocuzione con il pediatra (5%). Degno di nota anche il livello di autonomia che si rileva quando è la donna stessa ad aver bisogno di cure: nel 46% dei casi di problemi lievi di salute e nel 29% degli eventi più gravi, la donna fa da sè. E fa tanto più da sè, quanto più è già abituata ad assumersi molteplici incombenze (68% delle donne con alto tasso di coinvolgimentonelcaregiving si ‘arrangiano da sole’).
Presso un terzo circa (28%) delle famiglie delle donne intervistate, c’è almeno un soggetto bisognoso di accudimento, perché portatore di una fragilità. In prevalenza di tratta di persone anziane, più o meno autosufficienti (20% in totale) ma in un caso su dieci si tratta di un malato grave o di un soggettodisabile.
Nelle famiglie in cui la donna si occupa di qualcuno gravemente malato – 9% dei casi – e quasi sempre una persona anziana (madri, padri, un coniuge), mentre più rari sono i figli gravemente malati ad essere accuditi. Anche in questo caso, la delega è quasi nulla: un terzo delle donne fa senza aiuti, circa la metà può contare su un aiuto in famiglia mentre soltanto nel 14% dei casi, ci si appoggia ad un aiutoesterno.
Ovviamente questo incide sulla propria soddisfazione personale (51% insoddisfatte, tra coloro che si occupano di un malato grave). L’elevato coinvolgimento e lo sforzo che il caregiving richiede loro fanno sì che la percezione delle donne rispetto allo stato delle politiche di welfare in Italia risulti arretrato quando confrontato al resto dell’Europa (per il 69% delle intervistate).
Appare chiaro alle donne italiane che la crisi ha impresso un cambiamento nei bisogni della popolazione (72%) che i policy maker non hanno saputo interpretare, adeguando il sistema di welfare (70%), soprattutto ai bisogni delle fasce di popolazione più esposte (69%). Le italiane sono altresì consapevoli del fatto che il sistema così com’è non è sostenibile (46%) e pertanto la sua capacità di perequazione sociale è limitata (32%). Per metà delle intervistate (48%), il mondo dell’impresa potrebbe avere un ruolo positivo nell’accolarsi parte dell’onere di protezione. Tra le lavoratrici (circa il 40% delle intervistate) una lavoratrice su 4 (26%) non conosce il meccanismo, mentre circa un quarto (23%) dispone in azienda di una qualche misura di sostegno, ma solo il 7% ne fa uso e comunque lo giudica un’ottima misura di gestione del work-life balance.