Con il Professor Carlo Vergani, Geriatra presso l’Università degli Studi di Milano cerchiamo di capire cosa voglia dire essere anziani oggi e quali siano i loro bisogni primari.
Chi sono gli anziani?
L’Istat, l’Eurostat, l’ONU e altri Istituti internazionali considerano anziani gli ultrasessantacinquenni, ma la soglia di entrata in età avanzata è dinamica. Nel 1861, quando si è tenuto il primo censimento dell’Italia unita, la speranza di vita alla nascita era di 32 anni, a metà del secolo scorso la vita media era di 67 anni per le donne e di 64 anni per gli uomini. Oggi la donna ha una speranza di vita alla nascita di 84,4 anni e l’uomo di 79,2. Dalla fine dell’ottocento in poi la durata della vita è aumentata di tre mesi all’anno. Vanno ridefinite le età della vita.
Da un punto di vista medico i parametri biologici degli anziani si differenziano significativamente da quelli dei giovani al di sopra dei 75 anni. Per questo le persone di età compresa fra 65 e i 74 anni vengono definite “young old”, sono i “giovani anziani”. Da notare il forte divario che esiste tra il numero delle donne e quello degli uomini in età avanzata: più dell’80 per cento dei 16 mila centenari esistenti in Italia sono donne.
Che cosa significa invecchiare?
Il processo biologico dell’invecchiamento comporta la perdita di strutture e funzioni dell’organismo e la modalità con cui ciò si verifica dipende in gran parte da noi. I determinanti della durata e della qualità della vita sono rappresentati infatti per il 70 per cento dalle abitudini di vita e dall’ambiente, per il 30 per cento dai geni. La perdita della riserva funzionale rende l’anziano vulnerabile ed esposto all’insorgenza delle malattie croniche. La donna anziana, pur vivendo più a lungo, fa più patologia dell’uomo: sopra i 75 anni tre donne su quattro presentano almeno due malattie croniche. Prevalgono le malattie osteoarticolari, l’osteoporosi, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito di tipo 2, i disturbi neurocognitivi, il colon irritabile, l’incontinenza urinaria. Anche la percezione dello stato di salute è diversa fra i due generi: sopra i 75 anni si considerano in buona salute il 19 per cento delle donne e il 29 per cento degli uomini. A 65 anni la donna ha una speranza di vita residua di 22 anni, ma di questi solo un terzo sono anni privi di qualsiasi limitazione funzionale, sono cioè Healthy Life Years (HLY), anni di vita sana. Comprimere la disabilità verso il termine della vita è uno degli principali obiettivi della medicina d’oggi.
Sesso e genere come incidono sulla condizione della donna?
L’Istituto di Medicina degli Stati Uniti distingue fra i due termini: quando si parla di sesso ci si riferisce a differenze di origine biologica, il genere invece rimanda a tutto ciò che, in rapporto al sesso, risente di influenze socioculturali. La differenza di genere grava pesantemente sulla donna. Negli USA i tre predittori che più si correlano con una cattiva qualità di vita sono l’essere non bianco, l’essere donna e la bassa scolarità che è indice di povertà. Secondo il Global Gender Gap Report 2012 del World Economic Forum, che ha sede a Ginevra, l’Italia è in coda per le pari opportunità fra i due generi. Il rapporto prende in considerazione quattro settori: il settore economico, il settore politico, il settore dell’educazione e il settore della salute. Su una scala da zero (uguaglianza fra i due generi, pari opportunità) a uno (massima disuguaglianza) l’Italia ha uno score globale di 0,67 e si colloca all’80° posto su 135 paesi esaminati. Particolarmente elevato è il divario di genere nelle opportunità e nella partecipazione alla vita economica (101° posto). In una famiglia verticale in cui convivono più generazioni, la donna è impegnata nell’attività di cura ai figli e ai grandi vecchi e viene emarginata dal mondo del lavoro. Nel 2011 in Italia il tasso di occupazione delle persone di età compresa fra i 55 – 64 anni, i cosiddetti lavoratori anziani, era del 38 per cento, una percentuale inferiore all’obiettivo di almeno il 50 per cento stabilito dalla Strategia Europea di Lisbona per l’occupazione. Nei 27 paesi dell’Unione Europea la media dell’indicatore è pari al 47 per cento con una punta del 72 per cento in Svezia, dove non c’è differenza significativa nell’occupazione fra uomini e donne. In Italia invece il divario fra i due generi è di 20 punti percentuali: si passa dal 48 per cento degli uomini al 28 per cento delle donne.
Che cosa si può fare per migliorare la condizione della donna anziana?
Oggi l’assistenza all’anziano è prevalentemente ospedalocentrica. Abbiamo invece bisogno di una medicina del territorio, cioè di una assistenza continuativa, integrata, sociosanitaria. In uno studio condotto su anziani con età media di 83 anni, di cui il 64 per cento donne, dimessi dal Pronto Soccorso (PS) dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, il 14 per cento dei soggetti vivevano soli senza alcun supporto sociale, il 54 per cento erano portatori di tre o più malattie croniche, il 53 per cento erano depressi, il 40 per cento presentavano gravi disturbi cognitivi, il 9 per cento erano malnutriti, il 20 per cento nei tre mesi precedenti si erano già presentati almeno una volta in PS. È il fenomeno della porta girevole, PS – domicilio – PS, è la riproposizione nella stessa sede di un bisogno, non strettamente di tipo sanitario, che non viene recepito dall’ospedale avulso dalla rete dei servizi sul territorio. Si lavora per silos. Il PS dell’ospedale di una grande città non è solo un luogo di approdo per chi è portatore di un disturbo fisico, è anche il sensore della condizione di vita dei cittadini. La donna anziana sul territorio presenta alcune peculiarità che la rendono particolarmente vulnerabile. Vive più a lungo in solitudine: basti pensare che in Italia ci sono 3,8 milioni di vedove e 700 mila vedovi. La solitudine è un evento sentinella che facilita il decadimento dell’organismo e l’insorgenza della malattia. Il 10 per cento delle donne anziane, una percentuale che è il doppio di quella degli uomini, sono confinate a domicilio per difficoltà nel movimento, nella vista, nell’udito, nella parola. Le donne soffrono più di depressione e usano più farmaci, in particolare ansiolitici e analgesici. Per migliorare la salute della donna abbiamo inoltre bisogno di una medicina “al femminile”. È necessario che i panel dei comitati scientifici internazionali si ricordino della donna anziana e indichino criteri di normalità e modalità di intervento sex and age specific. Le donne sono poco rappresentate nei trial clinici che valutano l’efficacia e la sicurezza dei farmaci. Nel corso della vita più del 12 per cento delle donne sviluppano un tumore al seno e l’età mediana delle donne con tumore al seno si aggira attorno ai 60 anni. Ciò nonostante nei trial che studiano i farmaci antitumorali le donne anziane rappresentano solo il 20-30 per cento della casistica.
Nella nostra società vige una forma di ageismo che squalifica le persone in base all’età anagrafica, così come il razzismo le discrimina in base al colore della pelle. La Dottoressa Margaret Chan, all’indomani della sua nomina a Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2006, nel suo discorso programmatico ha detto: “La salute della donna è l’indice più significativo dello stato di salute dell’intera popolazione”.