Durante le competizioni sportive di resistenza tutti pensano al problema della disidratazione. Ma si muore anche per la condizione opposta, l’iponatriemia da sforzo. Un panel di esperti internazionali ha redatto delle linee guida che spiegano come evitare il problema e come correggerlo se dovesse presentarsi.
Dopo almeno 14 decessi di maratoneti, calciatori e altri atleti, attribuibili all’iponatriemia associata allo sforzo (EAH, Exercise Associated Hyponatremia), un gruppo di esperti internazionali ha deciso di mettere nero su bianco i principi per evitare queste tragedie. Ne è scaturita una linea guida (Statement of the Third International Exercise-Associated Hyponatremia Consensus Development Conference, Carlsbad, California, 2015) appena pubblicata su Clinical Journal of Sport Medicine. Il documento rappresenta un aggiornamento del precedente statement del 2008 ed ha lo scopo di prevenire e correggere la morbilità e la mortalità associata con gli squilibri idroelettrolitici, che sarà anche l’oggetto di una campagna educativa.
L’iponatriemia da sforzo (EAH) viene definita come un’iponatriemia (sodiemia inferiore a 135 mEq/L) che compare nell’arco e fino a 24 ore dopo l’attività fisica. Può derivare da perdita di soluti (sodio, potassio), un eccesso relativo dell’acqua corporea totale o una combinazione di questi due fattori.
In genere questa condizione si verifica quando si beve troppa acqua (o sport drink o altre bevande ipotoniche) durante l’attività sportiva. Questo supera la capacità dei reni di liberarsi del carico di acqua in eccesso e provoca una iponatriemia da diluizione, che a sua volta determina un rigonfiamento cellulare, potenzialmente letale.
L’iponatriemia da sforzo può essere sintomatica o asintomatica (scoperta cioè casualmente da un esame del sangue effettuato dopo una gara).
Tra le forme sintomatiche di iponatriemia da sforzo, si distinguono quelle lievi, caratterizzate da senso di testa vuota, vertigini, nausea, aumento di peso durante un evento atletico e quelle gravi (sodiemia inferiore a 125 mEq/L) nel corso delle quali possono comparire vomito, cefalea, alterazioni dello stato di coscienza (stato confusionale, agitazione, delirio, ecc), fino a convulsioni e coma; queste ultime condizioni sono dovute all’edema cerebrale che configura l’encefalopatia iponatriemia associata allo sforzo o EAHE, che a sua volta può essere o meno associata all’edema polmonare non cardiogeno.
Questa condizione è stata osservata diverse volte nel corso di gare di resistenza quali maratone, triathlon, competizioni di canoa e di nuoto; ma anche in occasione di allenamenti militari, arrampicate, gare di calcio, esercizi ripetuti durante riti di ‘nonnismo’ e addirittura in persone impegnate in esercizi di yoga o a falciare il prato.
Secondo gli autori delle linee guida, la maniera più facile per evitare questa condizione è semplicissima e consiste nel bere solo quando si sente sete. La sete è infatti un meccanismo molto complesso e preciso che consente di proteggere sia l’osmolarità plasmatica che la volemia.
“Utilizzando il meccanismo innato della sete come guida per il consumo di liquidi è una strategia che dovrebbe limitare l’assunzione eccessiva di liquidi e quindi la comparsa di iponatriemia, assicurando però al contempo un’assunzione sufficiente di acqua, tale da prevenire la disidratazione”.
Al contrario, molto spesso gli atleti vengono invogliati a bere anche più di quanto suggerito dalla sete, a bere finché le urine non diventino molto chiare o ad assumere liquidi secondo schemi prestabiliti. In realtà – affermano gli autori delle linee guida – bere in eccesso non previene l’esaurimento muscolare, i crampi e neppure i colpi di calore.
“Crampi muscolari e colpi di calore non dipendono dalla disidratazione – sostiene il dottor James Winger, uno dei 17 membri del panel che ha redatto le linee guida e professore associato presso il Dipartimento di Family Medicine della Loyola University Chicago – Stritch School of Medicine – I colpi di calore si verificano perché si sta producendo troppo calore.
Livelli modesti di disidratazione sono tollerabili e non pongono grandi rischi agli atleti in buona salute; un atleta può infatti arrivare a perdere fino al 3% del su peso corporeo durante una competizione per la disidratazione, senza per questo mettere a rischio la sua performance”.
Nel caso in cui un atleta presenti segni e sintomi suggestivi della temuta iponatriemia da sforzo, le linee guida consigliano di sottoporlo immediatamente ad esami di laboratorio (anche sul posto della gara) per verificare la presenza di iponatriemia. Il trattamento varia a seconda del grado di compromissione neurologica e non solo del livello di sodiemia, visto che l’edema cerebrale dipende non solo dai vari assoluti di sodiemia, ma anche dalla velocità e dall’ampiezza di caduta dei livelli di sodio plasmatici.
La correzione delle forme di iponatriemia gravemente sintomatiche, che rappresentano un’emergenza medica, consiste nell’immediata somministrazione di una soluzione salina ipertonica (soluzione di NaCl al 3%); essendo la EAH una condizione acuta, non sussiste il rischio di una demielinizzazione osmotica derivante dalla somministrazione di salina ipertonica, mentre al contrario è altissimo il rischio di erniazione cerebrale e di edema polmonare non cardiogeno, se non si interviene tempestivamente.