Campania. Oncofertilità, al via la rete regionale. Da gennaio le prime procedure di crionservazione di tessuto ovarico

4 Nov 2015

In campo un’organizzazione interdisciplinare per attuare percorsi diagnostico-terapeutici finalizzati alla preservazione della fertilità in giovani affetti da neoplasia e per il supporto alla procreazione dei soggetti guariti dal cancro. I due centri Hub sono al Policlinico Federico II e al Moscati di Avellino. Il modello di riferimento è quello attuato a Copenaghen.

Partiranno da gennaio 2016, in Campania, le prime procedure di crioconservazione, in azoto liquido, di tessuto ovarico, prelevato a donne in età fertile, ammalate di tumore, che intendano preservare la capacità riproduttiva ed evitare che le terapie anticancro (soprattutto chemio e radioterapia) le rendano sterili. La procedura andrà ad affiancare il congelamento e la conservazione di gameti maschili e femminili (spermatozoi e ovocellule) e il trattamento farmacologico gonadoprotettivo che sinora rappresentavano le uniche armi per prevenire la sterilità in persone giovani malate di tumore. Il progetto si propone di realizzare una rete di strutture, nella Regione Campania, secondo il modello “Hub & Spokes” mutuato da quello danese per una centralizzazione su base interregionale delle attività di crioconservazione di gameti e tessuti riproduttivi.

Sperimentazione avviata nel 2011
Dopo la sperimentazione avviata nel 2011, e la validazione clinica dei protocolli di prelievo, congelamento, conservazione e trapianto, svolti in collaborazione con il centro pilota di  Copenaghen (in Danimarca sono state ottenute 20 della 45 gravidanze sinora ottenute al mondo con questa procedura), il Centro regionale di riferimento per la Procreazione medicalmente assistita dell’azienda ospedaliero universitaria Federico II, diretto da Giuseppe De Placido, è pronto a partire.  De Placido nella rete assumerebbe il coordinamento scientifico mentre il secondo centro Hub (l’unità operativa antisterilità attiva all’ospedale Moscati di Avellino guidato dal primario Cristofaro De Stefano) svolgerebbe funzioni operative.Una rete regionale che ha l’ambizione di allargare i confini a tutto il Centro-Sud dopo il via libera alla richiesta già avanzata dal Lazio e dalla Sicilia dove dovrebbero sorgere rispettivamente altri due centri Hub.

A Napoli la prima Biobanca di tessuto ovarico del Sud
Il progetto è stato presentato ieri, a Napoli, nel corso di una conferenza di studio alla quale hanno partecipato anche rappresentanti della Regione Campania, (che finanzia il progetto), Giulia Scaravelli, dell’Istituto superiore di Sanità che sostiene dal punto di vista scientifico e sul fronte della formazione l’iniziativa, Fiorenza Bariani, del Centro nazionale trapianti (che affianca la Campania per la costituzione della prima Biobanca di tessuto ovarico del Sud), oltre a docenti universitari, medici e ricercatori delle due Università impegnati nella costituzione della rete. Ad essere coinvolti sono anche il Dipartimento di medicina clinica e chirurgia, Unità complessa di Oncologia medic, dell’Università Federico II di Napoli (Sabino De Placido), il dipartimento di Senologia, unità complessa di Oncologia medica senologica del Pascale di Napoli (Michele De Laurentiis) e la sezione di Endocrinologia dell’Università Federico II di Napoli. Tra gli Hub e gli spokes territoriali verrà disegnato un percorso dedicato tramite l’apertura di una cartella elettronica personale.

Il modello danese
A Napoli è giunto anche Hans Christian Andersen, dell’Università di Copenhagen, che nei laboratori del policlinico Federico II ha materialmente effettuato alcune procedure di congelamento e scongelamento di Ovociti per mostrare dal vivo tecniche e standard raggiunti dal centro Danese ormai famoso in tutto il mondo. Uno specialista, Andersen, che vanta il maggior numero di gravidanze al mondo dopo congelamento e trapianto di tessuto ovarico. “Il progetto – spiega De Placido – dovrà essere accompagnato da piani d’informazione e comunicazione all’utenza perché i giovani ammalati devono sapere che alla fine della chemio o radioterapia avranno la possibilità di avere comunque un bambino e dunque una qualità di vita che non è solo legata alla sopravivenza alla malattia ma anche alla piena realizzazione delle proprie aspirazioni di vita”.

Una riunione di lavoro
“Questo non è un convegno ma riunione di lavoro – sottolinea Cristoforo De Stefano – per presentare i Pdta (Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali) per l’oncofertilità che avvieremo dal prossimo gennaio”. Un progetto che coinvolge almeno una dozzina di strutture oncologiche ospedaliere periferiche e anche la Seconda università (Nicola Colacurci). Per tutte l’approccio multidisciplinare e multidimensionale e la formazione risultano centrali per calibrare l’assetto di una macchina che non ammette sbavature e tentennamenti a fronte dei tempi stringenti dettati dalla malattia e dalla fisiologia riproduttiva della donna.”

La formazione
“Medici e pediatri non devono subire indecisioni ma assumere certezze – avverte ancora De Stefano – per portare la Campania allo 0% la non consultazione della rete in caso di un tumore che colpisca una donna adolescente o in età fertile. Non bisogna dimenticare che i tumori rappresentano la prima causa di morte in età adolescenziale e prepuberale. Non basta un nastrino rosa per modificare la dura realtà. L’obiettivo deve essere la definizione di percorsi appropriati che abbraccino anche l’arruolamento di pazienti a rischio sterilità per cause non oncologiche”.

Ma come funzionerà la rete campana? Gli ovociti saranno raccolti anche a livello periferico con stoccaggio presso Biobanche nei due centri Hub ovvero nei centri periferici dove esistono strutture oncologiche o solo in quelli deputati alla Pma? “In questo lavoro in fieri quel che è certo – aggiunge ancora De Stefano – è che la disponibilità della struttura Hub dovrà essere totale, 365 giorni l’anno e 24 ore al giorno anche a Natale, Ferragosto e Capodanno  Dovremo adottare un sistema unico certificato anche per il trasporto dei campioni in vista della connessione interregionale della rete campana tra centro e periferia del sistema”.

Il counseling psicologico
“Cruciale anche il counseling psicologico – sottolinea Carlo Alviggi, ricercatore in forze presso la struttura universitaria guidata da De Placido – perché accogliere e guidare le coppie investite dalla malattia verso l’opportunità di un prelievo e il 0congelamento dei gameti o del tessuto ovarico è una parte essenziale del progetto nella consapevolezza che sono comunque procedure stressanti che si innestano in un tessuto umano e psicologico già devastato e sovvertito dalla malattia”. Ad ogni paziente sarà offerto un counselling multi-disciplinare da parte di équipe dedicate, da effettuarsi o nell’ospedale spoke e/o in quello sede dell’hub.  Il prelievo, i trasporti, le modalità di conservazione  verranno validati e dettagliati in procedure, da condividere poi tra le strutture Hub e quelle Spoke. Se il paziente sarà ritenuto candidabile al programma verrà organizzato in tempi rapidi il prelievo dei gameti o dei tessuti ed organizzato il trasporto presso le Biobanche delle due strutture Hub.

Gli Spokes potranno effettuare  prelievo e reimpianto del tessuto ovarico. Se i centri di Pma avranno autonomia di stimolazione e stoccaggio di gameti procederanno in modo autonomo, altrimenti i pazienti verranno inviati presso i centri Hub per le procedure. Ricordando che esistono procedure atte alla preservazione della fertilità in persone sottoposte a terapie anticancro (che dal 20 al 60 per cento esitano in sterilità).“Di queste – continua De Placido – consolidata resta il congelamento embrionario (linee guida “American Society for Reproductive Medicine”,2013), attualmente non praticabile in Italia, in relazione alle normative vigenti (Legge 40 del 2004). Tale procedura si associa a tassi di gravidanza per trasferimento in utero che oscillano tra il 20 ed il 30% circa. Una seconda opzione attuabile nel nostro Paese, riguarda il congelamento degli ovociti, procedura dichiarata non più sperimentale dall’ “American Society for Reproductive Medicine” nel 2012.

La letteratura internazionale riporta per la procedura di congelamento ovocitario tassi di gravidanza per transfer dal 15% al 29% circa. Inoltre, sono state eseguite (presso pochi centri altamente specializzati) procedure di congelamento di tessuto ovarico. La tecnica prevede l’esecuzione di un intervento chirurgico a monte delle terapie adiuvanti (chemio e/o radio-terapie) atto a rimuovere un intero ovaio o parte di esso, al fine di congelare frammenti di tessuto contrassegnati dalla presenza di follicoli.

Infine, in letteratura, è descritta una metodica, ad oggi ancora sperimentale, che consiste nel prelievo di follicoli immaturi e la successiva maturazione in vitro degli ovociti. Tale metodica, al pari del congelamento del tessuto ovarico, consentirebbe di evitare la stimolazione ovarica controllata che potrebbe avere un impatto negativo sulla prognosi nei tumori ormono-sensibili. successivamente reimpiantato nell’ovaio contro laterale o in quello residuo con trasferimento dell’intera corticale ovarica al termine dei cicli di terapia antitumorale. Dopo 20 settimane l’Fsh scende e la donna riprende ad ovulare. I trapianti possono essere effettuati più volte nell’arco a di 2 anni”. Su 53 trapianti di tessuto ovarico effettuati al mondo (tra 33 e 38 anni) i tassi di gravidanza sono di 31 donne.

I nodi da sciogliere
Non mancano i nodi e le situazioni critiche da affrontare e sciogliere da qui ai prossimi mesi. Si va dalle richieste delle pazienti lungosopravviventi a chi intende accedere alle procedure dopo cure anticancro effettuate anni e anni addietro. E in lista c’è anche chi intende avvalersi della crioconservazione in relazione a patologie non neoplastiche. Senza contare i rischi di reintrodurre le cellule tumorali conservate nel tessuto ovarico prelevato in fase di innesto. Rischi  che variano a seconda del tipo di tumore. All’indice anche i costi dei trattamenti e il reperimento di fondi pubblici per la copertura delle spese delle biobanche e la gestione delle cure preventive basate su farmaci.

Questi ultimi, al pari della criconservazione, sono soggetti alla nota Aifa 74 nell’alveo delle 208 procedure ad alto rischio di inappropriatezza su cui il governo sta per approvare il decreto attuativo della legge sul riordino degli enti locali. “Una zona grigia – conclude De Stefano – dove non è ancora ben chiaro il codice da attribuire a un malato di tumore che, prima di sottoporsi alle cure anticancro non è ancora sterile ma probabilmente lo dinventerà. Una persona che a dispetto del suo stato di salute, almeno in teoria, avrebbe la strada sbarrata all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. In questi casi come dovranno regolarsi le due strutture hub individuate nella rete”? Interrogativi che solo il ministero e la Regione potranno sciogliere.

Il ruolo dell’Università
Gaetano D’Onofrio, direttore sanitario aziendale dell’azienda ospedaliero universitaria Federico II sottolinea come l’eccellenza , la ricerca e l’assistenza facciano parte della mission dell’azienda ospedaliero universitario Federico. “Il dipartimento di Ostetricia dell’Aou è conosciuto per essere quello che effettua il maggior numero di parti in Campania ma rappresenta anche una punta avanzata, e non solo regionale, nelle procedure di preservazione della fertilità in persone malate di tumore. Il respiro di queste attività è necessariamente interregionale e la ricerca e l’assistenza connotano e qualificano il doppio ruolo del policlinico Federico II. Le due strutture Hub non sono torri eburnee ma stanno allacciando ponti con le altre realtà del Centro-Sud per la crescita complessiva di questo ramo assistenziale”.

Il cancro è un’epidemia
Secondo i dati Aiom (Associazione italiana oncologia medica) nel 2014 sono 3 milioni i pazienti affetti dal cancro nel mondo. Rispetto al 2010 il 3 per cento in più. Il 10 per cento di questi pazienti ha meno di 40 anni. La gonadotossicità cresce con l’età. Dopo i 35 – 36 anni la riserva fertile delle donne è già ridotta. Negli Usa hanno iniziato da moltissimo tempo pratiche di gonadoprotezione e dal 2009 in poi un c’è stato un aumento delle tecniche. Il 90 per cento oggi accede alla crioconservazione. Biologia del tumore, prognosi, terapia, desiderio di maternità, fasce di età, riserva follicolare: sono queste le principali variabili da considerare per reclutare pazienti deputate alla crioconservazione di gameti e tessuto ovarico.

“A 40 anni la riserva follicolare è molto ridotta – continua De Placido – la linea di demarcazione è 35 anni (30-35 per cento di successo) laddove a 40 anni la percentuale di successo è dello 0,4 %, quasi nulla anche con tecniche di fecondazione assistita. Tra i parametri per candidare una donna a questa tecnica ci sono le aspettative di sopravvivenza al tumore superiori ai 5 anni 5 anni e la mancanza di controindicazioni alla chirurgia”.

La fertilità residua
Per valutare la fertilità residua della donna il dosaggio dell’ormone antimulleriano si correla molto bene con la riserva ovarica e va effettuato in tutti i programmi, prima e dopo il trattamento. Utilizzato in quasi tutte le patologie gonadiche consiste in una conta dei follicoli antrali e associato alla ultrasonografia dà quasi una precisione matematica. Ma qual è la strategia migliore per la preservazione della fertilità? “Prima di arrivare al prelievo e al congelamento del tessuto ovarico ci sono la protezione delle gonadi – spiega De Placido – la trasposizione dell’ovaio ma soprattutto l’impiego di analoghi del gene Rh, la riduzione del reclutamento follicolare su base ormonale (abbassamento dell’Fsh), la riduzione della perfusione ovarica, le tecniche di Pma, la stimolazione ovarica controllata. Infine il congelamento di ovociti e di tessuto ovarico, che sono ormai tecniche validate a livello internazionale. Tecniche, queste ultime, anche a disposizione di donne che non hanno un partner o che non praticano attività sessuale prima del matrimonio per motivi religiosi e che rischiano di raggiungere un’età non più favorevole per l’attività riproduttiva”.

Al centro diretto da De Placido all’Aou Federico su 12 pazienti con carcinoma mammella che hanno protetto le gonadi farmacologicamente 2 donne hanno ottenuto una gravidanza spontanea.  Molto più elevato il numero di procedure con congelamento di liquido seminale che ha riguardasto157 pazienti di cui la metà oncologici. Con il ri-trapianto di tessuto ovarico correttamente conservato in azoto liquido secondo la casistica danese si raggiunge la gravidanza a distanza di 2 o 3 anni. Il prelievo non prevede di aspettare il ciclo di stimolazione e dunque può essere fatto in qualunque giorno del ciclo. Esiste anche un protocollo senza stimolazione ovarica con la crioconservazione degli ovociti immaturi e successiva maturazione in vitro. Il principale parametro di valutazione resta la quantità e qualità degli ovociti.

Il piano del ministero
“Il progetto campano – conclude Cristofaro De Stefano – s’inserisce nel piano nazionale per la fertilità definito dal ministero nel corso di quest’anno disciplinando la conservazione dei gameti e la preservazione della fertilità. La necessità di allestire corsi per oncologi è il nodo iniziale del problema. Poi c’è l’organizzazione delle strutture e delle Unità organizzative. dotate di equipe multdiciplinari come componenti delle unità materno-infantili. Il modello da perseguire è l’interazione e la cooperazione tra le Oncoematologia pediatriche e le Oncologia pediatriche con la previsione, all’interno di un numero limitato di centri per la sterilità, di un centro di oncofertilità realizzando un gradiente a complessità crescente tra periferia e centro. Gli standard parlano di una struttura di medicina e chirurgia della riproduzione ogni 2-4 milioni di abitanti. In Campania ci sarebbe spazio da 4 a 6 strutture.

L’articolo su Quotidiano Sanità

 

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