L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico: “Dal 20% del 2000 si è arrivati al 28% del 2013. Quando non serve il taglio cesareo comporta più rischi, complicazioni e costi”. In Turchia, Messico e Cile un parto su due col cesareo. Italia quarta con un tasso del 36,1% ma in un decennio crescita è stata nulla.
I tassi di taglio cesareo sono aumentati nella maggior parte dei paesi OCSE. Dal 20% del 2000 si è arrivati al 28% del 2013. È la stessa Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ad evidenziarlo in uno suo focus in cui ricorda come il “taglio cesareo non medicalmente necessario comporta un più alto rischio di mortalità materna, un aumento della morbilità materna e infantile, maggiori complicazioni per eventuali gravidanze successive e costi più elevati”.
“La crescita – specifica il Focus – è stata particolarmente forte nei paesi a medio reddito come la Turchia (50,2%), il Messico (45,2%) e il Cile (44,7%)” dove in un decennio si è assistito ad una crescita a doppia cifra. Numeri che risultano essere superiori anche di tre volte a quello di paesi come l’Islanda, che guida la classifica con il 15,2%, seguita da Israele (15,4%), Paesi Bassi (15,6%) e Finlandia (15,8%).
In generale si assiste ad un incremento della percentuale di ricorso al taglio cesareo in tutti i 32 paesi sotto esame anche se ci sono alcune eccezioni. Nonostante un cattivo posizionamento (l’Italia è al 4° posto con 36,1%) l’Ocse rivolge infatti una particolare menzione al nostro Paese che “fornisce un esempio di un paese che è stato in grado di invertire la tendenza precedente che aveva visto un rialzo dei tassi”. L’Organizzazione ricorda però che “c’è ancora spazio per un’ulteriore riduzione in particolare in quelle regioni italiane dove il tasso rimane molto alto”.
L’articolo su Quotidiano Sanità