Il 2017 è stato ed è un anno decisivo; ha rimesso sul piatto delle discussioni a livello pubblico casi di eutanasia, accanimento terapeutico, fine vita, problemi legislativi, umani e medici. Da Dj Fabo a Charlie Gard, passando per la storia di Elisa che abbiamo raccontato qui qualche settimana fa e che ora torna al centro anche dell’attenzione della Chiesa, da sempre “stella polare” della cura e promozione della vita sopra ogni cosa. Con una intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera, Monsignor Vincenzo Paglia, arcivescovo e presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha illustrato come e in che modo la Chiesa di Cristo possa stare vicino a casi complessi e delicatissimi come quelli sopracitati. Esattamente come avvenne nel recente passato con Welby ed Eluana Englaro e le migliaia di altre storie “silenziose” con sempre al centro il dramma della vita e l’impotenza, in molti casi, dell’uomo di fronte alla morte ineluttabile. In particolare, sul problema del “fine vita”, Paglia è certo di un punto: «il problema non è lo Stato o la Legge. Non è lo Stato che accompagna e non è la legge a far germogliare l’amore. È già molto se una legge regola per evitare disastri», spiega l’arcivescovo che ha scritto un libro proprio sul tema del fine vita, sulla “dignità del vivere e del morire”. Il problema dunque per Paglia è spostato sull’uomo, sul cittadino, sulla comunità: «va promossa una cultura dell’accompagnamento che stia davvero vicino a chi ha bisogno». Secondo il presule, sono tantissimi ormai i casi di malati terminali per i quali davvero non si sa cosa fare e come assisterli; «non è una bella società questa, è urgente che l’intera società e non solo i legislatore se ne occupi», ammonisce il Presidente della Pontifica Accademia per la Vita.
Secondo mons. Paglia per la Chiesa il compito principale è l’urgenza del “fare”, prima del “dire”: bisogna accompagnare, spiega Paglia, come illustra bene quell’ultimo caso “scoppiato” della giovane Elisa, oggi 46 anni ma da 12 in coma vegetativo dopo un grave incidente stradale. Il padre, con un appello proprio al Corriere, aveva chiesto allo Stato la possibilità di staccare la spina, ponendo di fatto di nuovo all’attenzione il problema gravissimo dell’eutanasia. Gian Guido Vecchi nella sua intervista chiede a Paglia e alla Chiesa intera cosa direbbe a quel padre disperato per la condizione della figlia: «lo capisco. È profondamente ingiusto e a assurdo che un padre e una famiglia siano lasciati da soli. Situazioni simili non possono essere affrontate in solitudine o nel disinteresse della comunità sia credente che civile», spiega mons. Paglia, sottolineando proprio quella cultura dell’abbandono e dello scarto già evidenziata nei tanti casi “famosi” da Charlie Gard fino ad Eluana Englaro, fino alla stessa Elisa. «Fino a qualche decennio fa era normale che attorno a chi moriva ci fosse la partecipazione di tutti, del Paese, degli amici, ma oggi la morte è nascosta, divenuta un fatto privato. Così pure la fine della vita: ci troviamo tutti più soli», denuncia il vescovo, spiegando come questo sia uno dei problemi più ineludibili della nostra società presente. «Assistiamo all’abbandono di tanti malati gravi, su un caso che arriva alle cronache, migliaia restano nella dimenticanza. Non è una bella società questa».
In questo senso Paglia, come del resto lo stesso Gualtiero Bassetti, e prima di loro Fisichella e Bagnasco, ai vertici della Cei e dell’Accademia Pontifica promuovono quella cultura di una Chiesa che sostiene e accompagna, come hanno intimato tutti gli ultimi Papi coniugando la denuncia di una società sempre più “indifferente” ed eugenetica assiema all’accoglienza e assistenza da vicino di tutti coloro che si ritrovano in condizioni come la famiglia di Elisa, Eluana, Fabo e così via. Come spiega Paglia ancora nell’intervista del Corriere, «il messaggio della fede è di accompagnare, di tenersi per mano», ribadendo i “celebri” tre grandi No e Sì. «No all’eutanasia, all’accanimento terapeutico, all’abbandono. E Sì all’accompagnamento, allo sviluppo della scienza, alla cura per evitare solitudine e dolore». Monsignor Paglia dice di non voler entrare nei casi singoli, ma prova lo stesso a chiarire i punti e il limite che la stessa Chiesa si pone da tempo: «il no all’accanimento esprime la posizione di chi vuole evitare la “divinizzazione” della macchina. Ma l’accompagnamento è sempre in favore della vita finche c’è una speranza non illusoria, quindi anche fondata sulla scienza». Nei casi come quelli di Elisa, in persistente stato vegetativo, secondo Paglia c’è ancora una «speranza di uscita infatti i medici non dicono irreversibile. Ci sono persone che si sono svegliate», ricorda l’arcivescovo. «La speranza non va eliminata» e bisogna valutare caso per caso se si tratti di accanimento terapeutico o di possibile e reale speranza di guarigione. E per la legge propria sul fine vita? «Non entro nel merito dell’iter legislativo, mi auguro venga approvata una buona legge. Ma è urgente promuovere una cultura dell’accompagnamento e questo richiede piuttosto uno scatto morale e spirituale da parte dell’intera società», Paglia decreta al termine della ricca intervista.
Da Il Sussidiario e Corriere della Sera