A sessant’anni dalla casuale scoperta dei primi farmaci contro la depressione, Catherine Harmer, Philip Cowen e Ronald Duman dei Dipartimenti di psichiatria rispettivamente di Oxford, nel Regno Unito (i primi due), e Yale, nel Connecticut (il terzo), fanno il punto su The Lancet Psychiatry sugli antidepressivi: «I primi studi rivelarono che questi composti aumentavano le concentrazioni di serotonina e noradrenalina a livello sinaptico, ipotizzando che questo meccanismo fosse alla base della loro azione» ricordano gli esperti. I primi antidepressivi utilizzati all’inizio degli anni cinquanta furono gli inibitori della monoaminossidasi (Imao), enzima che, dopo la trasmissione del messaggio nervoso, metabolizza serotonina, noradrenalina e dopamina nello spazio sinaptico.
Con tale meccanismo gli Imao aumentano la quantità di neurotrasmettitori disponibili nello spazio sinaptico, svolgendo la loro azione antidepressiva. Attualmente, tuttavia, gli Imao sono in disuso a causa, tra l’altro, dell’elevata tossicità epatica. «Notevoli progressi sono stati fatti durante gli ultimi anni nella comprensione dei meccanismi d’azione degli antidepressivi, spostando la ricerca dalle basi neurochimiche della loro azione a una più ampia comprensione degli effetti sulla neuroplasticità e sulla funzione emotiva e cognitiva» riprendono i ricercatori. Tant’è che dopo l’introduzione, alla fine degli anni cinquanta, degli antidepressivi triciclici (TA) che agivano aumentando la concentrazione dei neurotrasmettitori cerebrali nello spazio sinaptico, sono entrati nell’uso clinico gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri). Questa famiglia di composti è dotata di spiccata selettività d’azione sulla serotonina ed è efficace non solo nella depressione e nei disturbi d’ansia, ma anche nei disturbi del comportamento alimentare.
Infine, più recentemente, sono stati commercializzati gli inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (Nari), ad azione speculare rispetto agli Ssri, e gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (Nsri), con meccanismo d’azione simile a quello dei triciclici, ma più efficaci e molto meglio tollerati grazie alla loro azione mirata. «Imao e TA sono nati dall’ipotesi che il deficit di neuroamine fosse alla base della depressione» scrivono gli autori, sottolineando tuttavia che l’effetto antidepressivo compare dopo settimane di terapia, mentre la trasmissione neuronale viene ripristinata entro poche ore dall’inizio della cura. Da qui la teoria neurotrofica, concentrata sui meccanismi intracellulari, secondo cui la depressione è causata non solo dal deficit neuroaminico, ma da fenomeni neurodegenerativi con ridotta plasticità e sopravvivenza neuronale. Effetti che si generano in giorni o settimane, rispecchiando l’effetto clinico ritardato degli antidepressivi. Un’altra teoria è quella neuropsicologica, che esplora le modifiche sui processi emotivi a livello neurale e cognitivo che si verificano prima delle variazioni dell’umore, ma correlano con le successive modifiche cliniche. Le due teorie forniscono prospettive differenti sui meccanismi alla base di farmaci ad azione rapida, come la ketamina, nel trattamento della depressione, tra cui l’interruzione dei ricordi negativi e il rilascio del Brain Derived Neurotrophic factor (BdnfDNF), una sostanza neurotrofica presente nel cervello dei mammiferi che regola la trasmissione e la plasticità sinaptica. «Entrambi questi approcci offrono prospettive interessanti per lo sviluppo futuro, lo screening e il miglioramento dei trattamenti della depressione, aprendo la strada al superamento dei ben conosciuti limiti delle attuali terapie» concludono Harmer e colleghi.
Lancet Psychiatry, Published Online January 30, 2017
http://dx.doi.org/10.1016/S2215-0366(17)30015-9 http://www.thelancet.com/journals/lanpsy/article/PIIS2215-0366(17)30015-9/abstract
Da Doctor33