Con Gilberto Corbellini, Professore di Bioetica e Storia della Medicina presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia dell’ Università La Sapienza di Roma, cerchiamo di capire che cosa si intenda per Medicina di genere e quali siano le principali differenze tra uomini e donne in termini di salute.
Che cosa si intende per medicina di genere?
La medicina di genere studia e mette l’accento sull’impatto che il sesso e il genere hanno sulla fisiologia normale e patologica, e sulle caratteristiche cliniche della malattia. Ovvero su come sesso e genere, quest’ultimo inteso nel senso dei ruoli sociali attesi sulla base del sesso, influenzano i rischi di ammalare e la storia clinica delle malattie. E’ un tema che viene alla luce negli anni Ottanta del secolo scorso.
Tra il 1983 e il 1989 l’FDA passava in esame la presenza delle donne nei trial clinici e giungeva alla conclusione che i risultati degli studi sperimentali sulla valutazione dei farmaci risentivano di un bias rilevante, poiché le donne non erano rappresentate adeguatamente in rapporto alla prevalenza della condizione clinica in oggetto e del trattamento studiato. Negli stessi anni veniva alla luce che la prevalenza delle malattie cardiovascolari aumenta significativamente nelle donne dopo la menopausa, che le manifestazioni di disturbi cardiaci nelle donne sono diverse rispetto agli uomini e che c’è una sottovalutazione e un sottotrattamento della malattia cardiaca nella donna rispetto all’uomo.
Quali ripercussioni hanno le differenze di genere sulla salute di uomini e donne?
Il fatto che sia stata l’appartenenza al genere femminile a dimostrarsi per la prima volta associata a diversi rischi di ammalare o a trattamenti meno efficaci, anche come conseguenza del fatto che i maschi sono stati i soggetti prevalentemente studiati e trattati dai medici, ha fatto sì che la medicina di genere sia oggi quasi sinonimo di “medicina della donna”.
I generi, in quanto dipendono dai sessi, sono tendenzialmente due, e per entrambi, sul piano dell’impatto per la salute, sono in gioco sia i meccanismi biologici che determinano il sesso e quindi le funzionalità riproduttive, sia le variabili ambientali e culturali che incanalano i comportamenti in rapporto alle differenze sessuali.
Quindi, senza sottovalutare le ragioni per cui nel passato e anche oggi le donne, per il fatto di essere donne, non godono delle medesime opportunità di salute degli uomini, è un fatto scontato che la salute dei maschi e delle femmine dipenda, sia messa a rischio e possa essere ripristinata da condizioni e interventi diversi. Anche a seconda dei momenti presi in considerazione nella biografia della persona.
Le particolarità dei contesti sociopolitici quindi culturali e ovviamente le discriminazioni economiche e sociali legate al genere di fatto accentuano i rischi per la salute, condizionando gli stili di vita e le politiche di sanità pubblica.
Quanto è stato recepito secondo Lei il concetto di differenze di genere nella pratica clinica quotidiana?
Oggi si insegna normalmente agli studenti di medicina che i bambini maschi maturano più in ritardo e sono più vulnerabili, cioè sono più a rischio di morire per malattie infettive, omicidi, suicidi e annegamento, nel corso dello sviluppo infantile, puberale e adolescenziale, rispetto alle bambine.
Inoltre, più uomini che donne muoiono, complessivamente, di malattie croniche, come le malattie cardiovascolari, il diabete e il cancro. Gli uomini sono anche più a rischio delle donne per malattie associate al fumo, al consumo di alcool e all’obesità, come conseguenza di stili di vita meno salutari. Ma su questo piano le giovani generazioni femminili stanno poco saggiamente recuperando terreno.
Gli uomini vanno anche meno dal medico, quindi consumano meno farmaci e si vaccinano di meno (es. contro l’influenza).
Le donne sono più a rischio di morire per Alzheimer, si ammalano di più di depressione e risentono dei rischi associati alla complessa fisiologia del loro apparato riproduttivo. I tumori del seno e dell’utero uccidono più persone del cancro della prostata.
Inoltre, benché le donne vadano più spesso dal medico e si prendano più cura di sé e degli altri, la medicina non è sempre attrezzata per approfittare di questa opportunità. Infatti, le malattie delle donne sono prevalentemente diagnosticate e trattate sulla base di modelli clinici studiati sugli uomini.
Ma le donne rispondono in modo diverso ai farmaci a causa del complesso sistema ormonale che interagisce con i principi attivi. Alcune classi di farmaci come gli antistaminici, gli antibiotici, gli antipsicotici possono interagire con il ritmo cardiaco e provocare disturbi, sicuramente evitabili se fossero testati anche al femminile. Solo di recente, soprattutto negli Stati Uniti, sono state incluse in modo sistematico le donne nelle sperimentazioni cliniche. Un’ulteriore discriminante sono le differenti modalità di intervento nelle cure ospedaliere, con particolare riguardo per l’approccio alle malattie cardiovascolari, per cui la morbilità e mortalità per queste patologie è superiore nelle donne dopo i 60 anni a causa della inadeguatezza dei trattamenti e della scarsa considerazione della sintomatologia dichiarata.
L’attenzione alla questione di genere fa pensare che il paziente abbia acquisito una centralità maggiore nella medicina di oggi. E’ così?
L’attenzione per il ruolo del sesso e del genere in medicina è una delle conseguenza sia degli sviluppi metodologici e scientifici della medicina, sia della crescente attenzione e di un maggior rispetto per il paziente. Dagli anni Settanta è in declino il paternalismo medico, cioè l’atteggiamento prevalentemente autoreferenziale dei medici, e i valori etici che sono prevalsi nella relazione medico-paziente riguardano il primo luogo il rispetto per la capacità di autodeterminazione del paziente stesso. Questo rispetto e l’esigenza quindi di garantire che i trattamenti siano sicuri ed efficaci implicano necessariamente una centralità del paziente nella medicina occidentale.