Quali sono i sintomi indicatori di un tumore del colon-retto? Come accertare la diagnosi e quali le prospettive di cura? Ne abbiamo parlato con Attilio Giacosa, Direttore Scientifico del Dipartimento di Gastroenterologia, Gruppo Sanitario del Policlinico di Monza
Professor Giacosa, quanto è diffuso oggi il carcinoma del colon-retto?
Il carcinoma del colon-retto è abbastanza raro prima dei 40 anni, ma diventa più frequente a partire dai 60 fino a raggiungere i picchi massimi verso gli 80 anni, colpendo quasi in egual misura uomini e donne. Il cancro del colon-retto oggi è da ritenersi il secondo tumore maligno per frequenza e mortalità neri paesi occidentali; in Italia è il terzo dopo il tumore del polmone e della prostata negli uomini e il secondo dopo quello della mammella nelle donne. Tanto che è responsabile di circa 15.000 decessi all’anno con più di 35.000 nuovi diagnosi annuali.
A che cosa è dovuto lo sviluppo di questo tipo di neoplasia?
Come qualsiasi altro tipo di tumore, anche quello del colon-retto è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa che riveste questo organo. È possibile distinguere questa neoplasia tra tumore del colon vero e proprio e tumore del retto, ovvero dell’ultimo tratto dell’intestino, in quanto le modalità e le frequenze di manifestazioni possono essere diverse.
Esistono fattori di rischio predisponenti al CCR?
Molte sono le cause che concorrono a determinare la malattia: tra esse ne sono state individuate alcune legate allo stile di vita – la dieta, il fumo, l’obesità -, ed altre genetiche o di tipo non ereditario. Molti studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di calorie, ricca di grassi animali e povera di fibre, è associata a un aumento dei tumori intestinali; viceversa, diete ricche di fibre (cioè caratterizzate da un alto consumo di frutta e vegetali) sembrano avere un ruolo protettivo. Il secondo aspetto da considerare è quello di poter ereditare il rischio di ammalarsi di tumore del colon-retto. Questo si verifica se nella famiglia d’origine si sono manifestate alcune malattie che predispongono alla formazione di tumori intestinali; tra queste sono da segnalare le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l’adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) e quella che viene chiamata carcinosi ereditaria del colon-retto su base non poliposica (detta anche HNPCC o sindrome di Lynch). Si tratta di malattie trasmesse da genitori portatori di specifiche alterazioni genetiche, e che possono anche non dar luogo ad alcun sintomo. La probabilità di trasmissione del gene alterato è di circa il 50%, indipendentemente dal sesso. Fra i fattori non ereditari sono importanti l’età, dove l’incidenza è 10 volte superiore tra le persone fra i 60 e i 64 anni rispetto a coloro che hanno 40-44 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali, tra le quali la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn, una storia clinica passata di polipi del colon o di un pregresso tumore del colon-retto. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 volte nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del grosso intestino.
Quali sono i sintomi del CCR?
Sintomo rivelatore più frequente è la perdita di sangue con le feci. È tuttavia possibile che, specie per la sede colica, possa manifestarsi con uno stato occlusivo intestinale o per quello a sede rettale con un frequente ed insoddisfacente stimolo alla defecazione. A malattia avanzata i sintomi e/o i segni possono essere rappresentati da sanguinamenti importanti di colore rosso visibili ad occhio nudo, feci nere, dolore addominale e rettale, alterazioni dell’alvo, sideropenia (cali importanti di ferro), calo ponderale, una massa addominale, e l’occlusione intestinale nel 10-15% dei casi, fino ad arrivare alla perforazione nel 2-5%.
In che cosa consiste lo screening per il tumore del colon-retto?
Va detto innanzitutto che per screening si intende in generale un programma organizzato di sorveglianza finalizzato alla diagnosi precoce, condotto su una popolazione asintomatica e a rischio standard. Nel caso del tumore del colon-retto, lo screening è volto ad identificare una possibile lesione tumorale in fase iniziale infatti quanto la diagnosi è più precoce, tanto più probabile sarà riuscire a modificare la storia naturale della malattia attraverso un trattamento efficace e conservativo. L’obiettivo del programma di screening è quello di arrivare a ridurre la mortalità almeno del 20%.
Da chi è propost lo screening?
L’unione Europea ha assunto impegni comuni per garantire un adeguato screening dei tumori del seno, del collo dell’utero, del colon-rettale, come indica la raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2 Dicembre 2003. L’Istituto Superiore di Sanità, con il piano nazionale Linee Guida, si è pertanto adeguato a tale indicazione promuovendo azioni sul territorio. Nella regione Lombardia lo screening viene proposto dalle Aziende Sanitarie Locali che inviano una lettera di invito ad effettuare l’esame, ritirando il kit presso la farmacia di fiducia.
Come si effettua lo screening?
Lo screening è realizzato tramite la ricerca del sangue nelle feci. Affinché il test sia positivo la traccia di sangue in esse deve superare i 100 ng/ml, soglia a cui un sanguinamento può, in alcuni casi, essere dovuto a un tumore del colon-retto. Come per ogni screening è importante ripetere il test ogni volta a intervalli stabiliti. È un test di facile esecuzione, dai costi ridotti e caratterizzato da un’elevata sensibilità, pari a più del 70%, e specificità che si aggira attorno al 95-98%, per gli adenomi ad alto rischio e per il CCR.
In caso di test positivo, quali sono gli esami da eseguire per confermare la diagnosi di CCR?
La diagnosi si avvale innanzitutto dell’esame clinico, che consiste nella palpazione dell’addome alla ricerca di eventuali masse a livello dell’intestino, del fegato e dei linfonodi, e nell’esplorazione rettale (circa il 70 per cento dei tumori del retto si sente con le dita). In aggiunta alla clinica esistono poi diverse indagini strumentali che permettono di diagnosticare il tumore e, in seguito, di eseguirne la stadiazione, ovvero di valutarne la gravità. L’esame più specifico è la colonscopia che, grazie alla possibilità di eseguire una biopsia, consente di fare subito l’analisi istologica, ovvero l’esame del tessuto. In alternativa, quando la lesione ha raggiunto una grandezza superiore a un centimetro, si possono utilizzare altre metodiche, quali il clisma opaco a doppio contrasto e l’ecografia transrettale, che è utile anche per definire, in fase preoperatoria, il grado di infiltrazione del tumore nella parete dell’intestino, mentre l’ecografia può fornire indicazioni sullo stato dei linfonodi più vicini. Inoltre ci si può avvalere anche della TAC addome con mezzo di contrasto: Essa permette di valutare i rapporti con gli organi circostanti, lo stato dei linfonodi e le eventuali metastasi presenti nell’addome. Per identificare l’esistenza di metastasi a distanza si può fare una radiografia del torace (o una TAC torace, se indicata), un’ecografia epatica, una scintigrafia ossea e la biopsia di eventuali lesioni. Talvolta vengono utilizzati a questo scopo anche la risonanza magnetica o la PET (tomografia a emissione di positroni).
Quali sono le opzioni terapeutiche per il tumore del CCR?
La terapia di scelta è la chirurgia: sulla base della posizione del tumore si procederà con un intervento parziale o, nei casi più gravi, con la totale asportazione del tratto di colon interessato o del retto. Rispetto agli interventi demolitivi effettuati fino a non molti anni fa, la chirurgia del carcinoma del retto si è fatta sempre più conservativa. Solo nei pazienti molto anziani o ad alto rischio si procede alla creazione della cosiddetta stomia (ovvero all’apertura dell’intestino sulla parete addominale con la creazione del cosiddetto ano artificiale, ovvero un’apertura che consenta di raccogliere le feci con appositi presidi). In questo caso assume un ruolo fondamentale la riabilitazione sia fisica sia psicologica dei pazienti portatori di stomia. La radioterapia preoperatoria può, in casi selezionati, ridurre il volume e l’estensione tumorale, permettendo quindi interventi chirurgici che conservano l’orifizio anale naturale. Di contro, la chemioterapia svolge un ruolo fondamentale nella malattia avanzata non operabile, ma non solo. Recentemente sono stati intrapresi diversi studi per valutare l’efficacia di un trattamento chemioterapico cosiddetto adiuvante, cioè effettuato dopo l’intervento chirurgico per diminuire il rischio di ricaduta (come avviene già per il tumore della mammella): i primi dati a disposizione sono positivi. Sono positivi anche gli studi sulla terapia neoadiuvante, cioè effettuata prima dell’intervento per ridurre la dimensione del tumore e facilitare il compito del chirurgo. Infine, nel tumore del retto, la radioterapia sia pre sia post operatoria, a seconda delle indicazioni, svolge un ruolo fondamentale: è stato dimostrato infatti che essa è in grado di diminuire le ricadute locali e di allungare la sopravvivenza. Un discorso a parte meritano i farmaci biologici, utilizzati al momento solo in alcune situazioni particolari.
Le protesi oggi esistenti possono evitare l’intervento all’intestino?
Le protesi colorettali, disponibili da diversi anni, possono essere usate come trattamento palliativo definitivo in pazienti con occlusione del colon da neoplasia maligna avanzata e metastatica o con elevato rischio operatorio. In questi casi però il vantaggio del trattamento endoscopico può essere messo in discussione da complicanze a lungo termine. L’ interesse verso le protesi colo rettali è comunque in costante aumento in quanto considerate non più opzione alternativa alla resezione chirurgica ma soluzione “ponte” al trattamento chirurgico in casi di occlusione acuta da neoplasia del colon dove il posizionamento di una protesi colorettale per via endoscopica permette la ricanalizzazione del colon e sostituisce l’intervento chirurgico d’urgenza, spesso gravato da maggiori complicanze. In un secondo tempo ed in presenza di condizioni ottimali, verrà eseguito l’intervento chirurgico di resezione della massa tumorale.
Qual è la sopravvivenza in caso di CCR?
La prognosi del carcinoma del colon rettale dipende da diversi fattori: dallo stadio in cui viene diagnosticato, fondamentali sono quindi lo screening e la sorveglianza che permettono la diagnosi precoce, e il tipo di tumore. Altro parametro importante da tenere in considerazione è la dimensione della lesione, associata alla presenza o meno di metastasi linfonodali e a distanza.
Francesca Morelli