Lo studio canadese recentemente pubblicato dal British Medical Journal ha riacceso l’attenzione di pubblico e stampa, e riaperto il dibattito fra gli esperti sulla validità dei programmi di screening mammografico per i tumori del seno.
Un team di ricercatori dell’Università di Toronto ha esaminato i dati di 15 centri canadesi per lo screening mammografico (quasi 90 mila donne tra i 40 e 59 anni), confrontando i dati di mortalità fra due gruppi distinti, il gruppo mammografia e il gruppo controllo. In 25 anni di osservazione i dati relativi alla mortalità per tumore del seno nei due gruppi sono quasi sovrapponibili, e gli scienziati hanno concluso affermando che i programmi di screening non hanno portato alcun beneficio in termini di riduzione della mortalità. Non solo, nell’articolo viene anche posto l’accento sul problema delle “sovradiagnosi”, che generano un aumento dei costi a carico del sistema sanitario e disagio psicologico nelle donne che ne sono coinvolte.
I risultati dello studio commentati sui media hanno suscitato numerose reazioni e qualche perplessità anche fra il pubblico femminile.
In Europa, le donne fra i 50 e i 69 anni coinvolte in programmi di screening con mammografia sono circa 26 milioni. In Italia i programmi di screening si sono sviluppati principalmente al Nord e al Centro a partire dagli anni 90, con una buona risposta da parte della popolazione (dal 68 al 92%), mentre ancora oggi copertura e risposta risultano insufficienti al Sud e inferiori agli standard previsti dalle linee guida europee.
Abbiamo chiesto al Prof Umberto Veronesi che opinione ha sui risultati dello studio pubblicato dal BMJ.
I dubbi sul valore della mammografia, come quelli espressi dall’autorevole British Medical Journal e correttamente riportati e commentati su diversi organi d’informazione qualche giorno fa, non sono una novità. Il dubbio è il metodo di progresso della scienza, e il dibattito sull’interpretazione dei dati della ricerca esiste da sempre ed è sacrosanto. Tuttavia bisogna ben sottolineare che la comunità scientifica sta discutendo di risultati di mammografie (e relativi trattamenti) effettuate 25 anni fa in Canada. Le macchine e gli strumenti di cui disponiamo oggi sono decisamente superiori a quelli utilizzati negli anni 80. Dunque, il mondo femminile deve essere molto cauto prima di trarre indicazioni di comportamento. In contraddizione dello studio canadese, studi altrettanto autorevoli, come lo svedese TABAR, dimostrano infatti che la mammografia è in grado di ridurre notevolmente la mortalità. Anzi, la maggior parte dell’oncologia europea è con me nel rassicurare le donne su un punto preciso: per il tumore del seno la diagnosi precoce salva la vita.”
Come spiegherebbe sinteticamente questa sua ultima affermazione?
Tutto parte da un concetto inconfutabile: più il tumore è piccolo, più è facile da curare e maggiori sono le probabilità di guarigione. Dunque il tema in discussione non è “se” ma “con quale frequenza” controllare il seno femminile alla ricerca di eventuali tumori iniziali.
Lei rimane convinto dell’importanza dello screening mammografico?
All’Istituto Europeo di Oncologia siamo così convinti dell’importanza dell’anticipazione diagnostica che abbiamo promosso un programma ancora più intenso di esami: stiamo sperimentando se intensificando la mammografia (1 volta all’anno dopo i 40 anni) e l’ecografia (ogni 6 mesi dopo i 30 anni) e effettuando la risonanza magnetica nelle situazioni più a rischio, riusciamo ad intercettare tumori così iniziali da essere guaribili in una percentuale vicina al 100%. Si tratta quindi di una rivoluzione: un tempo si aspettava che il tumore si “facesse vivo”, mentre ora siamo noi ad andarlo a cercare, prima che diventi visibile o palpabile. I risultati preliminari sono incoraggianti e dunque noi pensiamo che questa sia la via da seguire. Dobbiamo considerare che la chirurgia e la radioterapia si sono già spinte al loro limite, in termini di efficacia, mentre dal punto di vista farmacologico la chemioterapia non ha dato i risultati sperati e solo le terapie ormonali danno esiti soddisfacenti per i tumori ormonoresponsivi. Il futuro è quindi orientato verso l’anticipazione della diagnosi o prevenzione secondaria, e questa strategia cambia culturalmente l’intero approccio alla lotta contro il cancro. Le campagne di prevenzione sono efficaci se la popolazione risponde in termini di partecipazione attiva e consapevole e per questo motivo il ruolo di un informazione capillare e completa è cruciale.
Non la preoccupa il rischio di “sovradiagnosi” più volte sollevato?
I rischi sono bilanciati dai benefici. La cosa più importante per la salute della donna è trovare il tumore quando è ancora piccolissimo, possibilmente impalpabile. Per questo la mammografia rimane l’esame di riferimento dal quale prende avvio l’iter di approfondimento diagnostico, se necessario, per fornirci tutte le indicazioni utili a programmare l’intervento terapeutico più adeguato.
Reference:
Twenty five year follow-up for breast cancer incidence and mortality of the Canadian National Breast Screening Study: randomised screening trial.
A.B. Miller et al.
British Medical Journal 2014;348:g366
Intervista realizzata grazie alla collaborazione con Ricerca Biomedica e Salute, Milano.