Da uno studio pubblicato su The Lancet emerge che sovrappeso e obesità si associano a un aumentato rischio non solo di morte prematura, ma anche di malattia coronarica, ictus, malattie respiratorie e cancro. «Nel complesso, l’eccesso di rischio per morte prematura, ossia prima di 70 anni di età, tra chi è in sovrappeso oppure obeso è circa tre volte maggiore negli uomini che nelle donne» esordisce Emanuele Di Angelantonio dell’Università di Cambridge, Regno Unito, autore principale dell’articolo, stimando che in media le persone in sovrappeso perdono circa un anno di aspettativa di vita, mentre le persone moderatamente obese ne perdono circa tre. Ma non è tutto. Dallo studio emerge che gli uomini obesi hanno probabilità molto maggiori delle donne obese di morire prematuramente, un dato coerente con il fatto che gli uomini obesi hanno una maggiore resistenza all’insulina e un rischio di diabete più alto delle donne. I ricercatori hanno raccolto informazioni sulle cause di morte in 3,9 milioni di adulti fra 20 e 90 anni arruolati in 189 studi svolti in Europa, Nord America o altrove.
«Partendo dal presupposto che l’associazione tra alto indice di massa corporea e mortalità sia in gran parte causale, la proporzione di morti premature che potrebbero essere evitate modificando lo stile di vita e riducendo il peso sarebbe di circa uno su 7 in Europa e uno in 5 in Nord America» scrivono gli autori, sottolineando che l’obesità è seconda solo al fumo come causa di morte prematura nei paesi occidentali. E in un editoriale di commento Barry Graubard del National Cancer Institute di Bethesda, in Maryland, discute i limiti metodologici degli studi di coorte che mettono in correlazione l’indice di massa corporea con la mortalità, spiegando che è necessario migliorarne la pianificazione e la realizzazione, allo scopo di tradurre l’evidenza epidemiologica in linee guida più efficaci e migliori strategie di tutela della salute pubblica. «È improbabile che le sfide a livello globale in termini di sanità pubblica vengano risolte da insiemi di dati sempre più grandi senza ulteriori sviluppi nella progettazione degli studi clinici» conclude l’editorialista.
The Lancet 2016. doi: 10.1016/S0140-6736(16)30175-1 http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(16)30175-1/abstract
Da Doctor33