I balli latino americani non sono solo un piacevole hobby. I ricercatori dell’Università dell’Illinois hanno appena presentato un nuovo studio a un congresso dell’American Heart Association che dimostra il loro effetto salutare sul sistema cardiocircolatorio e sul fisico in generale. Già dopo 4 mesi di ballo la velocità dell’incedere migliora, come anche la voglia di fare attività fisica nel tempo libero
Sono bastati 4 mesi di un corso di danza per migliorare la forma fisica e la velocità di camminata in un gruppo di adulti; condizioni queste che hanno la potenzialità di ridurre anche il loro rischio di rimanere vittime di un evento cardiovascolare. Non è la pubblicità di una palestra di danze caraibiche ma uno studio presentato (Abstract P246) al congresso Epidemiology and Prevention (EPI)/Lifestyle and Cardiometabolic Health 2016 dell’American Heart Association in corso a Phoenix (USA).
Lo studio è stato condotto da ricercatori dell’Università dell’Illinois di Chicago che hanno deciso di valutare se un intervento comunitario basato sulle danze ‘latine’ potesse apportare beneficio ad un gruppo di 54 adulti di etnia latina (l’80% di loro era costituito da donne messicane e l’età media del gruppo era di 65 anni), non molto attivi fisicamente.
Il programma BAILAMOS ® messo a punto dall’Università dell’Illinois di Chicago comprende quattro tipi di danze caraibiche (merengue, bachata, cha cha e salsa) insegnate da un istruttore e con coreografie di complessità crescente man mano che si progredisce nel corso.
I partecipanti allo studio sono stati assegnati al programma di attività fisica comprendente due lezioni di danza a settimana per 4 mesi o a frequentare un programma di educazione sanitaria.
A tutti i partecipanti veniva richiesto di compilare dei questionari circa la quantità e la tipologia di attività fisica svolta nel loro tempo libero e di sottoporsi ad un test del cammino su una distanza di 400 metri, all’inizio e alla fine dello studio.
Al termine dei quattro mesi dello studio, i ricercatori americani hanno evidenziato che i ‘salseri’ camminavano più velocemente ed erano più performanti dal punto di vista fisico, rispetto all’inizio dello studio; in particolare, erano in grado di coprire una distanza di 400 metri in meno di 392 secondi, rispetto ai 430 secondi impiegati nel test iniziale.
Il tempo libero trascorso effettuando attività fisica era passato inoltre da 650 a 818 minuti a settimana.
Per contro, le persone assegnate alle lesioni di educazione sanitaria non hanno mostrato grandi miglioramenti; per la camminata di 400 metri al termine dello studio impiegavano 409 secondi, contro i 419 iniziali, mentre il tempo libero trascorso in attività fisiche era passato da 522 a 628 minuti a settimana.
Aumentare il livello di attività fisica è uno dei principali obiettivi del 2020 Impact Goals dell’American Heart Association; il minimo ‘sindacale’ previsto sono 150 minuti di attività fisica moderata a settimana o almeno 75 minuti di attività fisica vigorosa (o una via di mezzo tra i due) ogni settimana. È stato dimostrato che praticare attività fisica riduce il rischio di cardiopatia, ictus, diabete di tipo 2 e altre complicanze associate con l’invecchiamento; l’attività fisica inoltre migliora l’equilibrio, la mobilità e riduce lo stress.
Il successo di questo programma sta nel fatto che la gente viene portata a fare attività fisica divertendosi. “Questo programma – commenta Priscilla Vásquez dell’Università dell’Illinois e coordinatrice dello studio – ha impegnato i partecipanti a diversi livelli: fisico, culturale, emotivo. Per molti di loro seguire il corso di danze si è rivelato anche un vero e proprio toccasana anti-stress. Inoltre è un modo per interagire con gli altri e fare gruppo. Questo ha un profondo impatto non solo sul loro benessere fisico ma anche su quello emotivo”.
I ricercatori americani hanno ora intenzione di valutare se il programma BAILAMOS ® possa essere d’aiuto anche negli anziani con lievi alterazioni cognitive. “Per questo studio utilizzeremo la risonanza magnetica per valutare se la danza può influenzare in maniera positiva il cervello”.
Lo studio è stato finanziato dall’Alzheimer’s Association e dal Midwest Roybal Center for Health Promotion and Translation di Chicago.
Maria Rita Montebelli