Quando il tumore al seno si presenta, soprattutto nelle donne più giovani, non cambia niente avere il «gene Jolie»: non si muore di più, dice uno studio di ricercatori inglesi della University of Southampton, pubblicato su Lancet Oncology .
Il gene Jolie è quel gene, chiamato scientificamente Brca1 (ma ce n’è anche un altro, il Brca2), che aumenterebbe fino a otto volte la probabilità di andare incontro a un tumore al seno. E che l’attrice americana, nel 2013, ha scoperto nel suo Dna, scegliendo, poi, di farsi asportare i due seni (si chiama mastectomia bilaterale) per evitare la malattia, come aveva annunciato sul New York Times .
Adesso i ricercatori inglesi ci dicono, dopo aver seguito oltre 2.700, pazienti fra i 18 e i 40 anni, a cui era stato diagnosticato il cancro, che le donne con la mutazione non hanno una prognosi peggiore, ma, soprattutto, che, se si sottopongono a mastectomia bilaterale, hanno le stesse probabilità di sopravvivenza delle altre.
«Prima considerazione: lo studio dimostra che, oggi, le cure per il tumore al seno sono estremamente efficaci, a prescindere dalla predisposizione genetica — commenta Pierfranco Conte, professore di Oncologia all’Università di Padova —. Seconda: il fatto che la mastectomia non offra una maggiore protezione è un dato da verificare sulla lunga distanza (i ricercatori hanno seguito le donne solo per una decina di anni, ndr )».
Lo studio inglese rischia, al momento, di creare un po’ di confusione perché un conto è scoprire di avere il gene dopo la diagnosi di tumore, un conto è saperlo prima, quando si è ancora sane (come la Jolie). E allora si parla di prevenzione. «Proprio perché la presenza dei geni Brca1 e 2 nel Dna predispongono al tumore alla mammella — continua Conte — ci si chiede come comportarsi per evitare che la malattia si manifesti. Una soluzione è, appunto, quella della mastectomia bilaterale (la scelta di Angelina Jolie, ndr ), ma l’intervento ha effetti pesanti: tutta l’area diventa “fredda” e si perde la sensibilità, con conseguenze importanti sul piano estetico e anche su quello erotico. L’alternativa è una sorveglianza stretta, con esami ravvicinati, per intercettare precocemente un eventuale tumore. E ricorrere alle terapie che oggi, ribadiamo, sono molto efficaci».
Ultimissima considerazione: il gene Jolie predispone anche al cancro alle ovaie, che l’attrice si è fatta asportare in un secondo tempo. «Il tumore alle ovaie è ancora più subdolo di quello alla mammella: è meno frequente ma risponde meno alle cure rispetto al primo — dice Conte —. Dati scientifici alla mano, la Jolie doveva farsi rimuovere le ovaie prima di ricorrere alla mastectomia». Lo studio inglese, però, non ha preso in esame questo aspetto.
Da Corriere.it