La popolazione mondiale invecchia e il cancro è malattia tipica dell’età che avanza. Dopo i 70 anni il rischio può essere anche 40 volte superiore a chi ha 20 anni.
La terapia deve essere stabilita valutando la singola persona e non solo l’età
Il cancro può essere considerato una patologia tipica della vecchiaia e, a fronte dell’invecchiamento generale della popolazione in tutto il mondo e in particolare in Italia, i casi sono destinati ad aumentare in modo esponenziale. Tanto che, stando alle stime presentate durante il recente congresso dell’Associazione Americana di Oncologia (Asco), entro il 2040 ben il 70 per cento dei casi riguarderà persone sopra i 65 anni. «Molti farmaci antitumorali, però, non vengono testati sui pazienti anziani che restano ancora troppo esclusi dalle sperimentazioni pur rappresentando la stragrande maggioranza dei malati oncologici – sottolinea Silvio Monfardini, direttore del Programma di Oncologia Geriatrica dell’Istituto Palazzolo-Fondazione Don Gnocchi di Milano -. Resta poi cruciale imparare a gestire al meglio questa categoria di malati, tenendo presente le particolari necessità di questa popolazione, garantendo insieme qualità della cura e qualità di vita. E questo ancora non sempre avviene».
Le cifre presentate all’Asco, appena concluso a Chicago, inquadrano bene il problema: il numero dei malati di cancro nella fascia d’età 75-84 anni è decuplicato negli ultimi 40 anni e per gli ultra 85enni l’aumento è stato persino maggiore (ben di 17 volte superiore rispetto al 1977). I tumori sono tipici dell’invecchiamento perché con l’avanzare dell’età da un lato si accumulano i danni al Dna che favoriscono la formazione di masse cancerose, dall’altro viene meno la capacità di riparazione cellulare dell’organismo. «Dopo i 70 anni il rischio oncologico può essere anche 40 volte più alto di quello di una persona giovane e 4 volte superiore di quello di un individuo di media età (40-59 anni)» precisa Monfardini, che è fra i maggiori esperti al mondo di oncologia geriatrica e proprio per la sua attività ha ricevuto un premio all’Asco 2015.
«È difficile stabilire quale sia il trattamento migliore in un paziente anziano per vari motivi – ha sottolineato Supriya Mohile, oncologa della University of Rochester Medical Center, durante una sessione del convegno americano dedicata a questo argomento -: primo, abbiamo pochi dati a disposizione sull’efficacia e la tossicità dei farmaci anticancro (soprattutto quelli più innovativi e recenti) nelle persone anziane. Secondo, in età senile, molti malati soffrono anche di altre patologie croniche e seguono quindi più terapie. Terzo, con l’avanzare dell’età è normale una certa fragilità psico-fisica che deve essere valutata singolarmente per capire lo stato di condizione generale della persona. Per questo è indispensabile che passi un semplice concetto: la terapia oncologica nella popolazione over 65 deve essere centrata sul singolo paziente».
Ogni anno in Italia più di 183mila tumori vengono diagnosticati in persone over 70, su un totale di circa 365mila nuovi casi registrato ogni anno nel nostro Paese. Come hanno dimostrato diversi studi, nella scelta della terapia anticancro l’età anagrafica ha un suo peso, ma non dev’essere né un ostacolo alle cure né l’unico parametro da valutare. «Bisogna stabilire il trattamento più adeguato al singolo paziente considerando i suoi possibili punti di debolezza (spesso gli anziani soffrono di malattie come ipertensione, diabete, insufficienza renale o scompenso cardiaco), ma anche quelli di forza, visto che molti over 65 godono di buona salute – aggiunge Monfardini -. Il che li rende più “fragili” e comporta il fatto che prendano farmaci: due fattori che vanno valutati quando si stabilisce la terapia oncologica. Inoltre una valutazione geriatrica è fondamentale prima di un’operazione chirurgica o di iniziare radioterapia e chemioterapia, in modo da considerare i possibili effetti collaterali e capire cosa può essere fatto per prevenirli, arginarli, renderli più tollerabili. Infine, non si deve trascurare l’impatto sociale-economico del tumore (va verificato, per esempio, se il malato vive solo o necessita assistenza) e anche quello psicologico, affiancando un sostegno se serve – conclude l’esperto -, anche se avere i capelli grigi può essere un vantaggio in termini di tolleranza, pazienza, forza emotiva».
Da Corriere.it