Il mio bambino sarà sano? I test prenatali possono aiutare a saperlo. Ne abbiamo parlato con Luciana De Laurentis, dell’Istituto Clinico Città Studi di Milano.
Dottoressa De Laurentis, sono molti i test che consentono di valutare il rischio di malattie genetiche nel feto?
Sì, oggi esistono diversi tipi di test prenatali: quelli che definiamo analisi indirette, ossia quei test che non si effettuano prelevando materiale cromosomico, come ad esempio la misurazione della translucenza nucale fetale, il duo test e il tri-test, e le analisi dirette, quali l’amniocentesi e la villocentesi che verificano le alterazioni legate al numero e alla struttura dei cromosomi responsabili di patologie come lo sindrome di Down. Esistono poi esami non invasivi: l’ecografia, ne è un esempio, che si effettua durante tutto il periodo di gestazione, utile ad evidenziare attraverso lo studio della morfologia fetale eventuali malformazioni a carico di organi ed apparati. In ultimo la diagnosi pre-impianto, che si effettua direttamente sulla cellula dell’embrione fecondato in vitro, che consente di verificare se i cromosomi siano portatori di malattie a trasmissione genetica, come la fibrosi cistica e la talassemia.
Ci ha nominato i possibili test, passiamoli in dettaglio. Che cosa sono la translucenza nucale e il duo test?
Sono esami di screening (valutazione di rischio). La misurazione della translucenza fetale si effettua tramite un’ecografia. L’aumento dello spessore dell’area della regione posteriore del collo del feto è indice di un rischio aumentato di malattie genetiche. Di norma viene abbinata a una particolare analisi del sangue materno. Il risultato, combinato con test morfologici sul feto (esempio la valutazione della piramide nasale) aiuta a stabilire il rischio di gravidanza anomala. Se il test risulta positivo, cioè se evidenzia un rischio superiore a uno su 300, non significa che il bambino abbia una cromosomopatia ma ne dà una indicazione che sarebbe opportuno indagare con esami diretti di tipo invasivo. L’affidabilità diagnostica è molto elevata prima dei 38 anni (supera il 90%).
La villocentesi: di che si tratta?
È un test che si effettua nei primi tre mesi di gravidanza. Attraverso un ago inserito nell’addome, sotto controllo ecografico, vengono prelevati alcuni frammenti di tessuto coriale, ossia la futura placenta. A questo esame è correlata una percentuale di aborto dell’1,5% circa. È un esame che dà la possibilità di una diagnosi preliminare molto rapida (entro 7 giorni dal prelievo).
E sull’amniocentesi, che cosa ci può dire?
Si fa nel secondo trimestre di gravidanza. Anche in questo caso viene utilizzato un ago sotto controllo ecografico per prelevare una piccola quantità di liquido amniotico. La percentuale di rischio di aborto, come nel caso della villocentesi, si aggira attorno all’1,5%. La causa più frequente di questi incidenti è di tipo infettivo, più che riferibile a lesioni dirette sul feto: alcuni germi, già presenti nel corpo della mamma, al momento del prelievo trovano le condizioni per raggiungere le membrane amniotiche e il feto ed essere così responsabili di morti endouterine o aborti settici.
L’amniocentesi dà risposta immediata sulle possibili anomali del feto?
No, purtroppo occorre aspettare all’incirca 15 giorni. Un periodo vissuto come lunghissimo dalla futura mamma, considerando anche la pressione psicologica che accompagna l’attesa.
Si sente parlare anche di flussimetria. Che cos’è e in quali casi è utile?
La flussimetria è una tecnica non invasiva che si basa sull’uso degli ultrasuoni, che consente di avere informazioni sul benessere materno-fetale misurando nei vasi sanguigni dell’utero e del feto, la quantità, la velocità del sangue e le resistenze incontrate. La flussimetria uterina è utile nelle primigravide come screening di alcune patologie materno-fetali riconducibili a difetti di vascolarizzazione placentare oppure in donne con precedenti gravidanze complicate da patologie gestazionali, con diabete e/o ipertensione nella gravidanza in corso e nelle gravidanze gemellari. La flussimetria delle arterie ombelicali è invece un importante test da utilizzare nel terzo trimestre di gravidanza in presenza di patologie a rischio, o come monitoraggio del benessere fetale per future decisioni terapeutiche.
È vero che esiste anche un test per individuare i cambiamenti genetici che predispongono al tumore?
Sì, uno studio condotto sulla neurofibromatosi e la sindrome di Von Klippel-Lindau, effettuato da un gruppo di ricercatori belgi, è stato in grado di identificare a livello embrionale i geni che possono predisporre il nascituro ad alcune forme tumorali. Fino ad oggi negli embrioni potevano essere rilevate soltanto mutazioni di piccole parti di Dna mentre ora, grazie alla Fish (tecnica di ibridizzazione fluorescente in situ) è possibile riconoscere delle cancellazioni che comprendono interi geni e lunghi tratti cromosomici. Identificando la perdita di piccole porzioni e interi cromosomi in una singola cellula dell’embrione, i ricercatori sono arrivati a identificare gli embrioni che non presentavano una micro cancellazione, causa della predisposizione a forme tumorali. La Fish ha consentito di trasferire nell’utero soltanto gli embrioni identificati dai test come sani. Si tratta sempre di diagnosi genetica pe-impianto.
Oggi il classico test di gravidanza sembra esser superato da qualche cosa di più sofisticato. È così?
Il test di gravidanza, quello che si acquista comunemente in farmacia, è ancora valido ed utilizzabile. Esiste però un apparecchio di ultima generazione costituito da un dispositivo elettronico con due sensori ed un display che ha una accuratezza tale da indicare anche la data del concepimento. Come i tradizionali test, va a ricercare la presenza nelle urine della gonadotropina corionica umana, meglio nota come bHCG, ossia l’ormone che fin dalle prime settimane di gestazione aumenta la sua produzione segnalando una gravidanza già in atto. Questo test è così sensibile da rilevare la gestazione fin dal primo giorno di assenza delle mestruazioni. L’attendibilità è ottima: 99% per la conferma di gravidanza e 92% per la data del concepimento. Informazioni così precoci sullo stato di gravidanza consentono così alla mamma di modificare abitudini nello stili di vita dannose per il feto, come il fumo e l’alcool, e di introdurre nella dieta un maggior quantitativo di acido folico.
È possibile conoscere il sesso di un nascituro prima dell’ecografia?
È possibile conoscere il sesso del bambino già dalla 12°-13° settimana di gravidanza, in seguito al risultato della villocentesi. Recentemente, attraverso l’isolamento di cellule fetali che circolano nel sangue materno è possibile avere questa informazione. Basta, quindi, un normale prelievo di sangue alla madre e l’analisi del DNA fetale circolante in esso. Risposte positive si possono avere già alla 5° settimana, ma per una attendibilità superiore al 95% si deve attendere la 7° settimana di gestazione. L’analisi è utile non solo per conoscere il sesso del nascituro, ma anche per le malattie ereditarie che si manifestano solo nei maschi, come ad esempio la distrofia muscolare e l’emofilia. Si sta studiando se in futuro questa tecnica potrà essere utilizzata anche per la diagnosi delle malattie cromosomiche evitando così il ricorso a prelievi più invasivi di cui abbiamo precedentemente parlato. Si tratta comunque di test non utilizzabili nella pratica corrente e oggetto di ulteriori verifiche.
Ha accennato alla necessità di introdurre nella dieta acido folico. Solo questo è importante in gravidanza?
L’alimentazione è molto importante in gravidanza perché la dieta incide in modo fondamentale sulla salute sia della madre che del bambino. Un buono stato nutrizionale della madre, prima del concepimento, e una corretta alimentazione sia prima che durante tutto il periodo gestazionale sono essenziali per la prevenzione di molte malattie neonatali. È bene dunque assumere cibi quanto più possibile variati per trasmettere al bambino, attraverso il filtro della placenta, tutte le componenti e i principi nutritivi necessari allo sviluppo. Non ci sono cibi consigliati in maniera specifica da metter sulla tavola, ma come in ogni dieta sana, deve essere presente un po’ di tutto.
Francesca Morelli