Pubblicata l’edizione 2015 con i dati sanitari mondiali. L’Italia si conferma tra i Paesi con le migliori performance in termini di stato di salute. Oltre che per l’aspettativa di vita, che ci vede secondi solo al Giappone, si registra una drastica riduzione dell’indice di mortalità per tutte le cause tra i 15 e i 60 anni che passa dai 129 casi di morte su 1000 abitanti nel 1990 agli 83 del 2013, per gli uomini, e da 60 casi a 38 per le donne. IL RAPPORTO INTEGRALE.
Il 2015 è l’ultimo anno per il raggiungimento gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite (Millennium Development Goals – MDG), fissati nel 2000 per guidare gli sforzi mirati all’eradicazione della povertà a livello globale. Nei giorni scorsi l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso disponibile sul proprio sito web il Report “World Health Statistics”, che valuta i progressi relativi agli obiettivi legati alla salute in ciascuno dei 194 Paesi per i quali sono disponibili statistiche sanitarie.
Pubblicato ogni anno a partire dal 2005, “World Health Statistics” rappresenta la fonte ufficiale delle informazioni sullo stato di salute della popolazione mondiale. Contiene i dati provenienti da 194 Paesi su una serie di indicatori di mortalità, di malattia e relativi ai sistemi sanitari, tra cui la speranza di vita, le morti per malattie, i servizi e trattamenti sanitari, gli investimenti in materia di salute, così come i comportamenti e i fattori di rischio per la salute.
“Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio nell’ambito della salute pubblica sono stati buoni. Hanno permesso di focalizzare l’attenzione politica e di generare fondi assolutamente necessari per molti importanti problemi di salute pubblica – ha affermato Margaret Chan, Direttore Generale dell’OMS -. Anche se i progressi sono stati incoraggianti, vi sono ancora ampi divari tra e all’interno dei Paesi. Il Report sottolinea la necessità di proseguire gli sforzi per garantire che le persone più vulnerabili del mondo abbiano accesso ai servizi sanitari”.
Analizzando i dati contenuti nel Report riguardanti l’Italia, possiamo notare come, in quanto ad aspettativa di vita alla nascita, nel nostro Paese si è passati dai 77 anni del 1990 agli 83 del 2013 (80 uomini e 85 donne). Una crescita che ci porta al secondo posto al mondo, insieme a San Marino, Spagna, Svizzera e Singapore, in quanto a longevità, secondi solo al Giappone dove si raggiungono gli 84 anni. Di rilievo anche l’aspettativa di vita in salute che raggiunge i 73 anni. Un risultato, pari a quello della Spagna e secondo solo a Singapore (76 anni).
Passando poi all’indice di mortalità neonatale per mille nati vivi, l’Italia passa dai 6 registrati nel 1990 ai 2 del 2013. Un risultato in linea con quello degli altri Paesi europei. Nel resto del mondo fanno meglio solo la Francia, l’Islanda, la Finlandia, il Gappone, il Lussemburgo e Singapore che si fermano ad 1. Più in generale, nel Report si spiega come, pur essendo stati fatti grandi progressi in tutto il mondo, con un tasso di mortalità infantile che si è dimezzato rispetto al 1990, bisognerà ancora lavorare per raggiungere l’obiettivo fissato di ridurre di due terzi il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni fra il 1990 e il 2015. Meno di un terzo di tutti i Paesi lo ha attualmente raggiunto.
Nel documento viene analizzato anche l’indice di mortalità per gli adulti, ossia la probabilità di morte tra i 15 e i 60 anni di età per 1000 abitanti. In Italia, nel periodo 1990-2013, i dati si riducono fino quasi a dimezzarsi: per gli uomini, infatti, si è passati da 129 a 69, mentre per le donne il dato scende da 60 a 38. Anche in questo caso, oltre che per longevità e speranza di vita in salute, il nostro Paese segna risultati eccellenti a livello globale. Gli anni di vita persi per tutte le possibili causa, calcolati su 100mila abitanti, raggiungono in media i 15.248 in Italia. Un risultato in linea con quello di Francia e Olanda. Registrano, invece, un dato migliore nel vecchio continente, Lussemburgo, Norvegia, Spagna, Irlanda e Islanda.
Non manca un’analisi dettagliata sui fattori di rischio. La percentuale di persone adulte, con più di 18 anni, in stato di obesità, in Italia raggiunge il 20,4% tra gli uomini e il 21,6% tra le donne, nel 2014. Il consumo pro capite di alcol, nel 2010, per individui con più di 15 anni è stato di 6,7 litri. La percentuale di fumatori con più di 15 anni è stata, invece, del 29,1% tra gli uomini e del 19,8% tra le donne. Se, però, si prende in considerazione la percentuale di fumatori adolescenti con un’età compresa tra i 13 e i 15 anni, i risultati si invertono: i ragazzi scendono al 20,6% mentre le ragazze raggiungono il 26,3%.
Il Report ha messo a confronto anche la densità di personale sanitario oltre che il numero di strutture. Nel periodo 2007-2013 l’Italia registrava 37,6 medici per 10mila abitanti. Gli ospedali sono 2,1 per 100mila abitanti e 44,5 i posti letto in strutture psichiatriche. Le unità di radioterapia sono, infine, 6,4 per milione di abitanti.
Quanto ai dati economici riguardanti la spesa sanitaria, c’è da sottolineare che il Report analizza il periodo compreso tra il 2000 e il 2009. Non vengono quindi considerati i forti tagli al settore intrapresi dai diversi governi negli anni successivi che hanno portato ad una consistente riduzione delle percentuali qui riportate. Detto questo, la spesa sanitaria in percentuale di Pil è passata dal dal 7,9 del 2000, al 9,2 del 2012. La spesa pubblica per la sanità, nello stesso periodo, è passata dal 74,2 al 77,3%. Quella privata è conseguentemente scesa dal 25,8 al 22,7%. L’incidenza sul totale della spesa pubblica era del 12,7% nel 2000 e del 14% nel 2009.
Infine, osservando le statistiche demografiche e socioeconomiche, si può notare come l’Italia sia ‘un Paese per vecchi’. Se l’età media è di 44 anni, solo il 14% della popolazione ha meno di 15 anni mentre il 27% è over 60. Il tasso di crescita annuale nel periodo 2003-2013 è stato dello 0,5%. Se a questi dati aggiungiamo uno tra i più alti risultati globali in termini di longevità, riusciremo a capire le preoccupazioni della politica sul governo di una spesa sociale destinata a crescere (per non parlare di quella pensionistica).
Tornando alla situazione mondiale, per quanto riguarda la mortalità infantile pur essendo stati fatti grandi progressi in tutto il mondo, con un tasso che si è dimezzato rispetto al 1990, l’Oms sottolinea che bisognerà ancora lavorare per raggiungere l’obiettivo fissato di ridurre di due terzi il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni fra il 1990 e il 2015. Meno di un terzo di tutti i Paesi lo ha raggiunto o è sulla buona strada per raggiungerlo entro la fine di quest’anno. Attualmente solo 1 bambino africano con sospetta polmonite su 3 riceve antibiotici. Le principali cause della morte di bambini con età inferiore ai 5 anni sono rappresentate dalle complicazioni alla nascita pretermine, la polmonite, l’asfissia alla nascita e la diarrea.
Si è dimezzato anche, tra il 1990 e il 2013, il numero di donne morte a causa di complicazioni durante la gravidanza e il parto, ma l’obiettivo da raggiungere entro la fine di quest’anno è quello della riduzione del 75%. Il tasso di mortalità materna è sceso in ogni Regione. Tuttavia, 13 Paesi con alcuni dei più alti tassi al mondo hanno fatto pochi progressi nel ridurre queste morti in gran parte prevenibili. Nella Regione Africana dell’OMS, 1 donna su 4 che vuole prevenire o ritardare la gravidanza non ha accesso ai contraccettivi e solo una su 2 partorisce con il supporto di un assistente qualificato. Meno dei due terzi (64%) delle donne in tutto il mondo riceve il minimo raccomandato di 4 visite prenatali durante la gravidanza. La speranza di vita alla nascita è, però, aumentata di 6 anni sia per gli uomini e che per le donne a partire dal 1990.
Per quanto concerne l’obiettivo di bloccare la propagazione dell’HIV entro il 2015e di cominciare a invertirne la tendenza attuale, si è passati da 3,4 milioni di nuovi casi di infezione segnalati nel 2001 a 2,1 milioni nel 2013. L’obiettivo rivisto di garantire l’accesso universale alle cure contro l’HIV a tutti coloro che ne abbiano bisogno sarà più impegnativo da raggiungere, in quanto le raccomandazioni dell’OMS hanno portato a numeri molto più alti di persone che necessitano di cure.
Stando al trend attuale, il mondo raggiungerà entro la fine del 2015 l’obiettivo di assicurare a 15 milioni di persone nei Paesi a basso e medio reddito la terapia antiretrovirale (ART). Alla fine del 2013, infatti, quasi 13 milioni di persone avevano ricevuto la terapia a livello globale e, di questi, 11,7 milioni vivevano nei Paesi a basso e medio reddito, che rappresentano il 37% delle persone HIV positive che vivono in questi Paesi.
Nel mese di settembre, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, i Paesi decideranno nuovi e ambiziosi obiettivi globali per il 2030, affrontando le sfide emergenti, tra cui i mutevoli fattori sociali e ambientali che influenzano la salute e il crescente impatto delle malattie non trasmissibili, come il diabete e le patologie cardiovascolari. Due terzi dei decessi in tutto il mondo, infatti, sono attualmente dovuti a malattie non trasmissibili. Emerge infine dal Report che oltre un terzo degli uomini adulti fuma, che a un quarto è stato riscontrato un aumento della pressione sanguigna e che il 15% delle donne in tutto il mondo è obeso. Meno del 5% della spesa pubblica totale è destinato alla sanità e l’età media delle persone che vivono nei Paesi a basso reddito è di 20 anni, mentre è di 40 anni nei Paesi ad alto reddito.
Il draft dell’agenda post-2015 propone 17 obiettivi, tra cui quello generale di salute che punta ad “assicurare una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età”.
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