Antonella e le scalate in montagna «È la mia terapia contro la sclerosi»

4 Set 2017

Ha raggiunto quota 5.300 metri. «I medici me lo sconsigliavano, ho fatto di testa mia»

Dalla finestra di casa, ad Avezzano, la sommità del Velino appare leggermente imbiancata dalla prima spruzzata di neve dopo mesi di siccità. Tanto basta ad Antonella per sentirsi bene, prefigurandosi la gioia di salire lassù.

«La montagna è la mia terapia, senza le scalate sarei finita sulla sedia a rotelle. I medici si raccomandavano, la prego signora, niente pazzie, calma, riposo, al massimo qualche passeggiatina. Invece ho fatto di testa mia. Se mi fossi fermata chissà…», si carica questa capatosta, come dicono i conterranei. Antonella Perna ha 59 anni, segretaria in un laboratorio privato di analisi, due figli, un nipotino. Ne aveva dieci di meno quando dopo un improvviso calo della vista a un occhio («stavo ricamando e mi accorsi di non riuscire a infilare il filo nella cruna dell’ago») e tante visite scoprì di avere la sclerosi multipla.

I puntini bianchi messi in evidenza dalla risonanza magnetica cerebrale segnarono l’inizio di una nuova vita. Minacciata da una malattia neurodegenerativa che, bersagliando il sistema nervoso centrale, di tanto in tanto può progredire e bloccare qualche altra funzione.

Lei però ha continuato a ragionare da testarda. Oltre alle terapie tradizionali (cortisone e poi interferone) si è autoprescritta una cura finora risultata efficace. Scalate, la passione giovanile.

L’ultima bandierina l’ha piantata lo scorso luglio a quota 5.300 del monte Elbrus, in Russia, durante un’escursione organizzata dall’associazione Comet. E sarebbe andata oltre se non avesse cominciato ad accusare i mali dell’altitudine. Aldo Maldonato, presidente di Comet, porta diabetici e malati cronici sulle vette per dimostrare che anche in quelle condizioni si può.

«Merito della mia “abruzzesità” se ho superato lo choc della diagnosi. All’inizio ho accusato il colpo: depressione, chiusura, silenzio per un anno e mezzo. Poi sono scesa a patti con la sclerosi e le ho chiesto, che vogliamo fa? Io sto qui, tu stai lì, ok? Ho ricominciato con le scalate. Lei mi corre dietro e non mi prende».

Quando 5 anni fa sono spuntate due recidive che le hanno estratto forza da braccio e gamba, Antonella non ha cambiato idea, anche se condizionata da una terapia più impegnativa, l’interferone. «Un ciclo a settimana mi mette fuori gioco per un giorno e mezzo. Come avere l’influenza. Febbre, dolori muscolari, tosse. La sclerosi è l’ultimo dei miei problemi e le cime le faccio nel weekend, quando i postumi del farmaco sono smaltiti».

Ogni controllo dal neurologo però è sfibrante. «Il professore si siede davanti a me e mi dice, ok Antonella la risonanza anche stavolta è negativa, non ci sono peggioramenti. Quindi? gli domando. Vada avanti, continui così. Avanti quanto e per quanto? insisto. Non si sa, lei intanto vada avanti. La vecchiaia, mi dice scherzando, gioca a suo favore.». Nei giovani infatti la sclerosi multipla, causata dalla perdita di mielina, procede al galoppo nella maggioranza dei casi.

«Sono perfino contenta di essere vecchia. Conosco una donna di 45 anni col braccio che non risponde più e lo nasconde», racconta. L’unica preghiera rivolta dai medici è di non stancarsi troppo.

Lo sguardo di Antonella torna a posarsi sul Velino. Nel frattempo col calore della giornata la neve si è sciolta e la cima è tornata nuda.

Lei vuole sapere come vivo in attesa della comparsa di altri puntini bianchi nel cervello: «Ho le mie montagne che qui intorno mi proteggono. Oltre al Velino, il Gran Sasso, la Maiella, le palestre dove mi alleno e ho imparato a sfidare il Gran Paradiso e il Dom de Mischabel, tanto per citare alcune delle migliori soddisfazioni. Sono fortunata, per ora non chiedo di più. E a chi ha la sclerosi grido: fate come me».

Da Corriere.it

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