Oggi la guaribilità dal tumore alla mammella si è attestata intorno all’85%, mentre solo 20 anni fa era la metà. Per questo sempre più spesso ormai si può parlare di cronicizzazione della malattia, sia negli stadi iniziali sia quelli avanzati. Esistono, infatti, trattamenti efficaci anche per le donne con tumore al seno metastatizzato, la cui sopravvivenza è aumentata notevolmente. Un esempio recente arriva dai risultati definitivi dello studio Cleopatra, presentati a Madrid lo scorso settembre, durante il congresso dell’European Society for Medical Oncology, ESMO, che hanno mostrato come l’associazione di pertuzumab, trastuzumab e docetaxel contro placebo, trastuzumab e docetaxel, in 808 pazienti con tumore al seno metastatico HER2-positivo precedentemente non trattato, abbia allungato la sopravvivenza di una popolazione di donne colpite dal tumore al seno metastatico di circa 16 mesi. Un arco di tempo non trascurabile quando si parla di queste patologie. Ne abbiamo parlato con Olivia Pagani, oncologa e ricercatrice presso lo IOSI, l’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana.
Dottoressa Pagani, cosa pensa dello studio Cleopatra, i risultati sono davvero così promettenti?
La grossa novità di questo studio è che è il primo a mostrare un prolungamento della sopravvivenza molto importante, di quasi 16 mesi. Di solito poi, gli studi nelle donne che hanno una malattia metastatica, fanno vedere un prolungamento della “sopravvivenza libera da progressione”, mentre è più difficile dimostrare che poi questi nuovi approcci terapeutici si traducano anche in un prolungamento della sopravvivenza. Ci sono però anche dei limiti: il primo è che si riferiscono a una popolazione molto specifica di pazienti, quindi le donne che hanno una malattia Her2+ positiva, e che sono tra il 15-20% di tutti i tumori al seno. Non parliamo quindi di tutte le donne colpite da tumore al seno metastatico ma solo di una sottopopolazione molto selezionata. La seconda è che queste pazienti sono state trattate molti anni fa e solo il 16% aveva ricevuto l’Herceptin (il trastuzumab) dopo l’intervento chirurgico. Mentre dal 2006, tutte le donne che hanno un tumore di questo tipo dopo l’intervento ricevono l’Herceptin. Nello studio il 90% delle pazienti era vergine da questo trattamento, quindi c’è il pericolo che oggi faccia meno effetto. Non significa nemmeno che non faccia meno effetto, ma solo che bisogna essere cauti. Il concetto importante da sottolineare però, è che il tumore aveva un bersaglio biologico definito, e che identificare questi bersagli è fondamentale poi per sviluppare trattamenti mirati. Se noi capiamo meglio la biologia, come funzionano i tumori e cosa li fa crescere, possiamo identificare dei bersagli mirati che consentono di sviluppare trattamenti mirati e potenzialmente molto efficaci.
Qual è attualmente la situazione delle donne con tumore al seno in stato avanzato?
La sopravvivenza delle donne che hanno una malattia metastatica può comunque essere di anni, con una buona qualità di vita. E non è così difficile o raro ottenere – anche prima dello studio Cleopatra – una cronicizzazione della malattia. Anche per i gruppi di pazienti il cui tumore dipende dagli ormoni femminili, come gli estrogeni. Ci sono trattamenti mirati che consentono di rimandare l’inizio della chemioterapia bloccando gli ormoni che fanno crescere i tumori. E considerando che ben il 70% dei tumori al seno ha una dipendenza ormonale non è male. In questa popolazione di pazienti bloccare lo stimolo ormonale consente delle lunghe remissioni e di posticipare l’inizio della chemioterapia.
Il 15 ottobre presso l’Istituto Nazionale dei Tumori è stata celebrata la Bra Day Italy 2014, la Giornata internazionale per la consapevolezza sulla ricostruzione mammaria, cosa ne pensa?
La maggior parte delle donne dopo la mastectomia si ricostruisce il seno, però capita che al di fuori dei centri di senologia non è sempre disponibile un chirurgo plastico. Per questo è importante informare le donne, e questa è la ragione per cui la ricostruzione non viene offerta in prima battuta, perché a volte non c’è la possibilità di farlo. I centri di senologia invece hanno il chirurgo plastico che fa parte dell’equipe chirurgica e quindi la ricostruzione viene proposta a tutte le donne. Questo è il motivo per cui io alle donne che sfortunatamente hanno un tumore al seno consiglio di rivolgersi a dei centri di competenza, che hanno a disposizione tutti gli strumenti diagnostici e di cura più adeguati e che hanno anche delle proposte di ricostruzione, o di fertilità, per le donne giovani. Dove insomma non ci si occupa solo del tumore ma della donna nel suo complesso. Poi c’è anche una minoranza che non vuole fare la ricostruzione, a volte persone molto anziane, ma non è nemmeno una questione di età. Spesso, infatti, anche queste donne tengono al loro seno, perché ci hanno vissuto per 60 anni o più. Non è detto che per loro sia meno traumatizzante.
Quanto è stata importante la diagnosi precoce in questi anni, per arrivare dove siamo ora?
La diagnosi precoce è fondamentale perché aumenta le chance di una guarigione definitiva ma consente anche di arrivare a una guarigione in modo meno traumatico, facendo interventi più limitati o cure meno pesanti. Prima si tratta il tumore diagnosticato in una fase iniziale, più sono elevate le possibilità di guarigione. Ma se un tumore è in fase precoce, anche tutti i trattamenti sono meno invasivi, sia in termini chirurgici che di radioterapia o cure mediche.
Intervista realizzata da Cristina Tognaccini, Freelance Science Writer, in collaborazione con Ricerca Biomedica e Salute, Milano.