Assistenza sanitaria gratuita, ricerca di qualità senza chiedere un soldo allo Stato, alla Regione o ai cittadini. Alla periferia di Reggio Calabria un esempio di sanità sostenibile e solidale. Che però non piace a tutti.
Una palazzina a un piano, nata come struttura psichiatrica e poi dismessa. Umile, ma curata, tra muri a secco, scarna vegetazione mediterranea. Ma soprattutto tra palazzine rimaste incompiute: dovevano ospitare i figli numerosi di famiglie che si sono spaccate la schiena per tirarle su. Ma quei figli sono andati a cercare fortuna altrove e completarle, abbellirle, è diventato uno sforzo inutile. Così sono ormai il vero monumento di una terra a cui hanno mangiato il futuro. Che si è mangiata il futuro.
È in questo pezzo di Calabria identico a mille altri, a Pellaro – periferia sud di Reggio Calabria – che da qualche anno vive un modello di sanità alternativo, un piccolo miracolo che dà risposte di salute a chi avrebbe diritto di riceverle dal servizio sanitario pubblico e che invece il più delle volte è costretto a rivolgersi a professoroni che visitano in privato. O, quando le tasche sono vuote, a ignorare i problemi finché diventano così grossi da meritare l’assistenza di un ospedale., in In Calabria o fuori regione. In quella palazzina, ricevuta in comodato d’uso dalla locale azienda sanitaria, ogni mattina vedi arrivare un centinaio di persone. Qualcuno per un elettrocardiogramma, qualcun altro per una visita diabetologica. E poi per ecografie, per un consulto con il gastroenterologo o con il reumatologo. Ognuno entra con la ricetta del proprio medico, aspetta il proprio turno, fa la visita e torna a casa. Non ci sono ticket, non ci sono parcelle. Al più, chi può, quando ne ha voglia, fa una donazione.
A Pellaro, nell’ambulatorio di medicina solidale dell’Associazione Calabrese di Epatologia (ACE) funziona così. I soldi, la quadratura dei bilanci sono argomenti di cui nessuno vuole sentire parlare. E quando se ne parla, lo si fa in maniera diversa da come siamo abituati. Si dice che è possibile distribuire le risorse in maniera più equa, rispettando comunque principi di efficacia ed efficienza. Che può esistere una medicina che rimuova tutti gli ostacoli di ordine sociale, economico e culturale che impediscono un equo accesso alle prestazioni. Si parla di decrescita felice in sanità in opposizione a una medicina assoggettata al principio economico di una crescita senza limiti, tutta innovazione diagnostica e terapeutica e niente relazione terapeutica. Troppo naïf per essere vero? A giudicare da quel che succede laggiù, nella punta dello Stivale dove sprechi e malaffare hanno mandato a catafascio la sanità, non si direbbe. L’ambulatorio fa quasi 30 mila visite l’anno. Un tempo vi ricorrevano le fasce più povere della popolazione ma ormai è diventato punto di riferimento anche per chi non ha problemi di denaro. Vi lavorano 12 persone (9 clinici, 3 amministrativi) che si sommano ai 20 volontari (clinici, epidemiologi/statistici, biologi, infermieri, amministravi) che fanno parte del progetto sin dalla sua nascita. E l’associazione, dal canto suo, non naviga nell’ora ma non se la passa male. L’ultimo bilancio è stato chiuso a quasi 300 mila euro. Qualche versamento da fondazioni, ma in gran parte soldi provenienti da donazioni liberali di cittadini convinti che per il bene comune valga la pena investire qualche euro.
Così, l’esperienza di ACE cresce. Con logiche che possono apparire forse rudimentali, ma che non si possono tacciare di inefficacia. Servono altri medici? I membri dell’associazione saltano lo Stretto, vanno all’università di Messina e chiedono al preside se tra gli specializzandi c’è qualche ragazzo bravo ma “senza cognome”. Significa senza protezione, senza rapporti che gli consentano di saltare a pie’ pari il calvario che separa ogni laureato dal mondo del lavoro per ritrovarsi a ricoprire un posto magari fatto apposta per lui. Ne mettono a contratto 11. Qualcuno dei quali era già pronto a cercare una strada all’estero. Anche questo è un modo per ricostruire un tessuto sociale che in Calabria ha cominciato a disgregarsi ben prima che la crisi economica mordesse il mondo intero. Qua a Pellaro, però, l’assistenza sanitaria è solo una delle attività. Con quei pochi soldi si fa anche ricerca epidemiologica. Che non è proprio da buttar via.
Nel 2002 l’Associazione comincia a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità in uno studio di popolazione finalizzato a stabilire la prevalenza delle malattie epatiche e dei fattori di rischio a esse associati in una cittadina (Cittanova) a due passi da Reggio. Ne viene fuori una ricerca pubblicata su Hepatology condotta su oltre 1.600 persone da cui emerge che nella cittadina quasi 1 persona su 8 ha problemi epatici. In quasi la metà dei casi a causarli è l’abuso di alcol, in 1 caso su 5 il virus dell’epatite C, il virus dell’epatite B in solo un caso su 100. In un caso su 4 si scopre che la causa dell’epatopatia è una steatosi epatica (il cosiddetto fegato grasso). Così viene l’idea di verificare su 650 bambini tra 11 e 13 anni la prevalenza dell’eccesso di peso, della steatosi epatica non alcolica, dei fattori di rischio cardiovascolare e delle relazioni tra queste variabili e il danno aterosclerotico precoce in un progetto definito Marea (Metabolic Alterations in Reggio Calabria Adolescents). Ne escono altri due studi pubblicati su riviste internazionali. Forte di un campione di 2.000 persone, la ricerca prosegue e arrivano altre collaborazioni in Italia (Università degli Studi di Milano, CNR di Reggio Calabria, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’IRCSS San Raffaele di Milano) e all’estero (l’Imperial College London). E dalla collaborazione con quest’ultimo dovrebbe arrivare nelle prossime settimane una pubblicazione su Lancet Diabetes & Endocrinology.
Roba per cui ricercatori di istituti prestigiosi pagherebbero oro e che invece arriva da laggiù, da Pellaro. Dove ti dicono che questa ricerca non è una medaglia di cui fregiarsi, ma uno strumento per orientare l’offerta sanitaria: se so che il 30 per cento dei bambini è in sovrappeso e il 13 per cento è francamente obeso (questi i dati emersi dallo studio Marea) o metto in piedi misure di contrasto adesso o domani sarà troppo tardi. E sempre lì a Pellaro, ora si sono messi in testa di dare vita a un centro (una “cittadella” la chiamano) che sia lo specchio di quest’impegno. Operazione rischiosa se non si saprà tenere dritta la barra dei principi che l’hanno ispirata, ma che per ora nasce con le migliori intenzioni. La struttura sarà un qualcosa di completamente integrato nel paesaggio; una specie di Casa Kaufmann di Frank Lloyd Wright. Millecinquecento metri quadri di strutture basse che si ripetono seguendo i naturali terrazzamenti del declivio dove sorgerà, con tanto di parco con migliaia di piante autoctone oggi regolarmente distrutte dagli incendi estivi. Al suo interno un centro sanitario, un centro di ricerca, una banca per i campioni biologici, sale studio, auditorium e qualche stanza per ospitare ricercatori, comitive professionali di studio, associazioni di pazienti.
Costerà circa un milione di euro. Dove reperire i soldi? «Vedremo, per ora ci interessa che venga riconosciuta l’utilità sociale di questa struttura. E poi, se non dovessimo trovare finanziatori, a piccoli passi, come fatto finora, la realizzeremo», dice il presidente di ACE Carmelo (per tutti Lino) Caserta. Il terreno è già di proprietà dell’associazione e per ora lo tiene d’occhio un contadino. «Lui aveva bisogno di un po’ di terra e noi che il terreno non fosse abbandonato». Niente denaro: solo semplici scambi sociali. Roba d’altri tempi. Va così a Pellaro. Dove alla fine sono arrivati anche i Nas a verificare la regolarità dell’operato dell’associazione. Si scopre che, nonostante tutta l’attività fosse stata concordata con la locale Azienda sanitaria, manca un’autorizzazione: parte la denuncia penale. «Siamo tranquilli. È una quisquilia burocratica, il magistrato capirà», dice Caserta che, con ironia, si dichiara perfino stupito. «Ci sembrava strano che non fosse ancora arrivata una denuncia». Perché una sanità sostenibile, solidale e con i conti a posto che toglie risorse a un privato cresciuto a dismisura sulle lacune del pubblico può dare fastidio quaggiù a Pellaro.
L’articolo sul Corriere della Sera