L’offerta privata supera di poco quella pubblica, con un totale di 33 centri privati, dislocati in maggioranza nel Sud. Nel Lazio al via un nuovo modello di rete assistenziale pubblica per le pazienti oncologiche in età fertile. Annunciato accordo tra la Banca del tessuto ovarico dell’Ifo e il Centro di Pma del Pertini di Roma. Il censimento
Presentato a Sabaudia (LT), in occasione della decima edizione de “Le giornate di Andrologia e Medicina della Riproduzione”, il censimento condotto dall’Istituto Superiore di Sanità sui centri di PMA di II e III livello che crioconservano gameti/tessuti per la preservazione della fertilità in pazienti oncologici allo scopo di conoscerne la distribuzione sul territorio. Sulla base del censimento, che ha raggiunto un totale di 201 centri di PMA di II e di III livello, il totale dei centri pubblici di oncofertilità in Italia risulterebbe essere di 28 unità, così distribuiti: 15 al nord, 6 al centro, 7 al sud. Nel complesso, l’offerta privata supera di poche unità quella pubblica con un totale di 33 centri privati, ma dislocati in maggioranza nel sud, dove si segnala anche una totale assenza, sempre secondo i dati pervenuti all’ISS, di centri privati convenzionati.
I dati sono stati presentati e discussi in occasione di un evento scientifico promosso dal professor Rocco Rago, Direttore del centro di sterilità dell’ospedale romano Sandro Pertini, e dal prof. Andrea Lenzi, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia.
L’evento è stato inoltre l’occasione per annunciare l’accordo di collaborazione tra la Banca del tessuto ovarico dell’Istituto Nazionale Tumori (IFO) di cui è responsabile il prof. Enrico Vizza – direttore di Ginecologia oncologica dell’Ifo – e proprio il centro di sterilità diretto da Rocco Rago. Il risultato finale sarà “un polo di eccellenza nella preservazione della fertilità femminile e maschile nel Lazio”.
“La collaborazione tra i due enti – spiega una nota diffusa a termine dell’incontro – è in corso già da qualche mese ed attende solo la ratifica ufficiale della convenzione tra i due. Già a luglio di quest’anno, infatti, presso il Sandro Pertini, il primo intervento di congelamento degli ovociti in una giovane di 19 anni, mentre altre sono ora le donne affette da tumore, tutte molto giovani, che si sono affidate all’assistenza del centro romano. Grazie all’intervento di congelamento degli ovociti le pazienti potranno proseguire le cure per la loro neoplasia senza più il timore di perdere la loro fertilità”.
“A prescindere dal numero, il paese ha bisogno di individuare le specifiche competenze e le eccellenze sul territorio per dar vita ad una vera e propria rete di centri di Oncofertilità che rispondano a precisi requisiti organizzativi, tecnologici, di qualità e di sicurezza – ha dichiarato Rocco Rago commentando i dati del censimento. Questi Centri devono essere situati all’interno di una struttura pubblica, e per quanto concerne il prelievo ovocitario all’interno delle strutture di procreazione medicalmente assistita, dove già operano staff di medici e biologi di comprovata esperienza e specifica competenza. Occorre quindi avviare un confronto costruttivo tra operatori e istituzioni sanitarie, ma anche facilitare e migliorare il livello di comunicazione e lo scambio di informazioni tra i centri specialistici dislocati sul territorio per permettere agli oncologi di indirizzare i pazienti al centro di oncofertilità a loro più vicino e più indicato per le specifiche esigenze”.
Ma qual è il futuro dell’oncofertilità femminile? “Un’ integrazione dei due sistemi di preservazione della fertilità oggi noti, ovvero la collaudata tecnica di crioconservazione degli ovociti, che apre necessariamente la porta ad una successiva procreazione medicalmente assistita, e la tecnica ancora sperimentale della conservazione del tessuto ovarico nelle donne eleggibili per questo secondo tipo di trattamento. Attualmente – ha spiegato il prof. Enrico Vizza – circa il 10% delle donne a cui viene diagnosticato un tumore è in età fertile e in un vicino futuro, grazie all’integrazione delle due tecniche, una percentuale di queste donne, una volta guarita dalla sua neoplasia, potrà tornare a sperare di diventare madre anche attraverso una gravidanza spontanea”.