Il Comitato dei diritti umani dell’Onu bacchetta l’Italia sull’applicazione della 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza: sono a rischio i diritti delle donne. Lorenzin difende i risultati: “La legge è rispettata”. Per Petri (Min. Esteri) le osservazioni Onu sono però di “carattere ordinario”. Livia Turco: “Va coniugato diritto all’obiezione con quello all’aborto”. IL DOCUMENTO.
L’Italia deve far rispettare la legge 194/1978 e garantire il diritto all’aborto. Questa volta, dopo le bacchettate del Consiglio d’Europa, è il Comitato dei diritti umani dell’Onu a prendere posizione manifestando la sua preoccupazione sulla difficoltà di accesso agli aborti legali – come appunto consente la legge – causata dal numero di medici che si rifiutano di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza per “motivi di coscienza”.
E collegate a questa preoccupazione l’Onu ne manifesta altre due verso il nostro Paese: la distribuzione dei medici obiettori e il “numero significativo” di aborti clandestini.
Sulla stessa lunghezza d’onda, lo scorso anno il Comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d’Europa si era espresso pronunciandosi su un ricorso presentato dalla Cgil e affermando che le donne in Italia continuano a incontrare “notevoli difficolta’” nell’accesso ai servizi d’interruzione di gravidanza, nonostante la legge 194 e che l’Italia viola quindi il loro diritto alla salute.
Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, proprio in occasione della presentazione della Relazione al Parlamento aveva però rassicurato sul rispetto della legge. In 30 anni, ricordava, c’è stato un “dimezzamento del numero di Ivg settimanali, a livello nazionale, a carico dei ginecologi non obiettori, che nel 1983 effettuavano 3,3 Ivg a testa a settimana, mentre ne effettuano 1,6 nel 2013, e dalle Regioni non è giunta alcuna segnalazione di carenza di medici non obiettori”. Secondo il ministro pertanto, “il numero dei punti Ivg è più che adeguato rispetto al numero delle Ivg effettuate”.
I dati tuttavia sono contestati dalla Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194, secondo cui l’Italia è tra gli ultimi Paesi in Europa per tutela della salute delle donne che vogliono abortire con otto regioni in cui la percentuale di medici obiettori oscilla tra l’80% e il 90%, come in Molise e Campania.
Percentuali che secondo l’associazione pongono l’Italia a livello dei paesi in cui l’aborto è vietato: Irlanda e Polonia, e ben lontana da paesi come la Francia dove l’obiezione à al 7%, il Regno Unito dove è al 10% o i paesi scandinavi dove l’obiezione di coscienza non esiste.
Ad abbassare i toni è intervenuto Fabrizio Petri, Presidente del Comitato Interministeriale per i Diritti Umani presso il ministero degli Esteri che era nella delegazione presente a Ginevra davanti al Comitato Diritti Umani delle Nazioni Unite quando è stata esaminata la questione. “Se si guarda alla prassi delle Nazioni Unite – afferma Petri – le Osservazioni del Comitato Diritti Umani, premesso che esse costituiscono come detto uno strumento di dialogo costruttivo, nel caso specifico relativo all’aborto, sono di carattere del tutto ordinario, come ben emerso d’altronde dall’andamento della discussione. La questione dell’aborto in Italia – conclude – è stata esaminata con attenzione nei suoi molteplici aspetti. Da parte italiana sono state date tutte le informazioni sulla situazione nel Paese e ricordati sia l’ultimo Rapporto al Parlamento sulla legge 194, che soprattutto i dati di interesse sull’erogazione dei servizi in materia”.
Non è d’accordo Livia Turco, ex ministro della Salute, che ha appena pubblicato il libro, “Per non tornare al buio, dialoghi sull’aborto“, dedicato proprio al tema dell’obiezione di coscienza.
“L’Italia – afferma coniughi in modo limpido il sacrosanto e doveroso diritto all’obiezione di coscienza da parte dei medici con la tutela della salute della donna. Il Comitato Onu sottolinea infatti la preoccupante distribuzione sul territorio italiano di medici obiettori e di conseguenza il numero di aborti clandestini”.
Turco ricorda in questo senso il parere del Comitato di bioetica, presieduto da Casavola, che nel 2012 ha raccomandato che “l’obiezione di coscienza deve essere disciplinata in modo tale da non discriminare né gli obiettori nè i non obiettori e quindi non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, i servizi particolarmente gravosi”.