L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica, progressiva e sistemica tipicamente declinata al femminile. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità è una delle dieci più gravi malattie che possono colpire le donne. Per le conseguenze progressivamente invalidanti ha, infatti, un impatto negativo sulla qualità della vita, familiare e affettiva, lavorativa e socio-relazionale. È una malattia cronica dalla quale non è possibile guarire, ma che può essere efficacemente controllata grazie alle terapie farmacologiche, soprattutto se tempestivamente avviate in fase precoce.
Si stima che l’AR colpisca tra lo 0,3 e 1,0% della popolazione mondiale con una prevalenza 3-4 volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini, rientrando così di diritto nel novero delle patologie “di genere”.
In base ai pochi dati italiani disponibili sulla prevalenza dell’AR, si stima che nel nostro Paese ne siano affette circa 400.000 persone.
La malattia può esordire in qualsiasi età, ma il picco d’incidenza si registra nella quarta e quinta decade.
L’AR è una malattia cronica infiammatoria multifattoriale che interessa le articolazioni provocando un danno iniziale al rivestimento interno (membrana sinoviale) che poi si estende alle strutture cartilaginee fino a erodere l’osso sottostante, provocando dolore, impotenza funzionale, deformità articolare e conseguente disabilità. In quanto malattia autoimmune, si caratterizza per un’alterazione della risposta immunitaria che comporta l’aggressione del tessuto connettivale e l’induzione di meccanismi infiammatori.
Le cause di questa malattia sono complesse e non del tutto note, anche se è riconosciuto il ruolo causale di fattori genetici e ambientali. L’impatto dei primi sull’epidemiologia dell’AR è condiviso in virtù delle differenze geografiche ed etniche che possono essere rilevate. Tra i fattori non genetici di rischio per l’AR si annoverano il genere, l’età, l’esposizione al fumo, fattori alimentari, ormonali e socio-demografici nonché agenti di natura infettiva.
L’esordio dell’AR è generalmente subdolo e avviene nel corso di diverse settimane o mesi, ma nel 10-20% dei pazienti la malattia può manifestarsi all’improvviso.
Le manifestazioni cliniche caratteristiche dell’AR sono:
L’AR in fase precoce è caratterizzata dall’interessamento poli-articolare e simmetrico delle piccole articolazioni di mani e piedi, senza lesioni evidenti all’esame radiologico. Anche le articolazioni della spalla e del gomito possono essere interessate, così come il ginocchio e l’anca (meno frequentemente).
Una delle principali complicanze legate all’interessamento articolare della malattia è la distruzione ossea che interessa circa il 70% dei pazienti nei primi due anni di malattia. L’AR è, infatti, una patologia progressiva e si caratterizza per la ricorrenza di fasi di riacutizzazione e crescente peggioramento.
Possono essere presenti anche manifestazioni extra-articolari a carico dell’apparato cardiovascolare e visivo, del polmone, del rene, della pelle, del fegato, del sistema nervoso ed ematopoietico.
L’AR si associa frequentemente a depressione, fatigue e disturbi del sonno.
La diagnosi precoce è essenziale per un corretto trattamento, ma purtroppo ancora oggi avviene con più di un anno di ritardo nella maggior parte dei casi.
Ai primi segnali di sospetta malattia (dolore ai polsi e alle piccole giunture di mani e piedi protratto per diverse settimane, associato a gonfiore delle stesse e rigidità articolare mattutina) è quindi opportuno rivolgersi a un medico e preferibilmente ad uno specialista reumatologo: la visita clinica, accompagnata da esami di laboratorio e strumentali, è fondamentale per l’inquadramento diagnostico della malattia. È stato dimostrato che un intervento specialistico con adozione di un piano terapeutico mirato, in fase precoce, è in grado di prevenire danno articolare e invalidità, con conseguenti benefici sulla qualità di vita delle pazienti.
Quindi per prevenire efficacemente gli effetti altamente invalidanti connessi all’artrite reumatoide, è fondamentale il ruolo della diagnosi precoce e della terapia. Dieta e ginnastica possono essere di aiuto nella cura della malattia, ma non possono sostituire in alcun modo la terapia farmacologica.
Fondamentale è il ruolo della diagnosi precoce: permette l’avvio del programma terapeutico più adeguato al caso specifico, prima che la malattia abbia determinato danni irreversibili. Una diagnosi tempestiva consente di avviare in tempo le cure, i cui obiettivi sono: controllare l’attività della malattia, alleviare il dolore e mantenere una capacità funzionale sufficiente a lavorare e a eseguire autonomamente gli atti della vita quotidiana.
Il trattamento dell’AR si basa su due classi di farmaci: farmaci sintomatici (analgesici e anti-infiammatori non steroidei) e “farmaci di fondo”, in grado di agire come modificatori di malattia (DMARDs: disease-modifying antirheumatic drugs). Questi ultimi comprendono farmaci con azione prevalentemente immunomodulatrice (clorochina e idrossiclorochina, della famiglia degli antimalarici di sintesi; sulfasalazina) e farmaci immunosoppressori (methotrexate e ciclosporina A).
Un notevole contributo alle terapie dell’AR è rappresentato dall’attuale disponibilità di farmaci biologici, molecole ottenute tramite l’ingegneria genetica, capaci di legare e neutralizzare l’azione di alcune proteine che svolgono un ruolo decisivo nell’automantenimento dei processi infiammatori dell’artrite, agendo dunque in modo mirato. I farmaci biologici (anche detti “biotecnologici”) rappresentano oggi una nuova ed efficace scelta terapeutica per il trattamento dell’AR, in particolare per i pazienti che non rispondono alle terapie tradizionali o che non le tollerano. Sono farmaci molto costosi (per la complessità dei processi di sviluppo, produzione e approvazione) che hanno però mostrato, a fronte di elevati profili di tollerabilità e sicurezza, elevata efficacia, permettendo il controllo dei sintomi e soprattutto arrestando la progressione del danno articolare, con conseguente miglioramento della qualità della vita e della percezione della condizione morbosa. Ciò, in sostanza, si traduce nel lungo termine in una significativa riduzione dei costi assistenziali per il paziente e per la collettività, considerando i minori costi “diretti” correlati alla malattia (visite, ricoveri, interventi chirurgici …) e la maggior autosufficienza e produttività (minor numero di assenze lavorative del malato e dei suoi familiari).
Dieta, astensione dal fumo ed esercizio fisico possono completare ed aiutare la cura farmacologica che rimane indispensabile per il trattamento di questa patologia.
L’AR non preclude la possibilità di avere una gravidanza e l’effetto della gravidanza stessa sulla malattia è modesto. Nella maggior parte dei casi il quadro clinico dell’artrite migliora durante la gestazione, già a partire dal primo trimestre, mentre peggiora nel post partum.
Nell’AR, come in tutte le patologie che richiedono un trattamento cronico a base di farmaci controindicati in gravidanza, è necessaria una programmazione della gravidanza stessa basata su una scelta contraccettiva efficace e sicura: farmaci come il metotrexate sono teratogeni (possono causare danni a carico degli organi in via di sviluppo) e vanno sospesi almeno tre mesi prima del concepimento. Non ci sono controindicazioni assolute all’uso della pillola anticoncezionale per le donne affette da AR, ma la scelta contraccettiva deve essere sempre condivisa con il proprio medico curante. La ricerca della gravidanza non può prescindere dalla valutazione dello stato e dunque dell’attività di malattia (la gravidanza deve essere affrontata quando la patologia di base è in fase di remissione da almeno sei mesi).
La gestazione di queste pazienti richiede un attento e costante monitoraggio da parte di un’equipe multidisciplinare con esperienza nel settore; è infatti necessaria una stretta collaborazione fra ginecologo, reumatologo-immunologo, neonatologo, ematologo e tutti gli altri specialisti che di volta in volta si rendono necessari.
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SIR – Società Italiana Reumatologia
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La prima edizione del Congresso Onda sulla salute della donna è giunta dopo tanti sforzi e passi avanti compiuti in questi ultimi anni per promuovere una medicina genere-specifica.