Un articolo pubblicato su Nature a firma dei esperti dello IEO e del centro Champalimaud di Lisbona, torna sul rischio di ripresa di malattia dopo la sospensione della terapia adiuvante con anti-estrogeni , sollevata da una metanalisi pubblicata dal NEJM. Una strategia, per la popolazione ad alto rischio, potrebbe essere quella di prolungare la durata della terapia ormonale. Ma è verosimile che neppure questo possa bastare. E gli autori suggeriscono nuove strategie che consentano di colpire contemporaneamente cellule tumorali dormienti e il microambiente nel quale si sono ‘rannicchiate’.
Cinque anni di ormonoterapia, dopo la rimozione di un tumore della mammella non bastano a scongiurare la ripresa di malattia in tutte le pazienti. Ne avevamo già scritto a seguito della metanalisi pubblicata qualche tempo fa sul New England Journal of Medicine a firma di Hongchao Pan e commentata dal professor Pierfranco Conte.
Ad arricchire di idee questo argomento provvedono adesso Fatima Cardoso (Breast Unit dello Champalimaud Clinical Center, Champalimaud Foundation, Lisbona) e Giuseppe Curigliano ( Dipartimento di Ematologia e Oncologia, Istituto Europeo di Oncologia e Università di Milano), dalle pagine di Nature.
“Obiettivo principale della terapia adiuvante – ricordano gli autori – somministrata dopo la rimozione chirurgica di un tumore, è quello di ridurre il rischio di recidiva locale o di comparsa di metastasi da parte delle cellule tumorali residue, che possono permanere anche per decadi in stato quiescente.”
Molto poco purtroppo ad oggi si sa della malattia residua dormiente. La metanalisi di Pan pubblicata dal NEJM e relativa a circa 63mila donne (da 88 trial) operate di carcinoma della mammella ER positivo e sottoposte a terapia ormonale adiuvante, ha consentito di puntare i riflettori su questo stato di ‘dormienza’ delle cellule tumorali. Tutte le donne incluse nella metanalisi, dopo i canonici 5 anni di terapia ormonale erano disease-free. Ma andando ad analizzare il rischio di metastasi tardive, gli autori hanno evidenziato che queste continuano a verificarsi a tasso costante nei successivi 15 anni dalla sospensione del trattamento, cioè per almeno 20 anni dalla diagnosi iniziale.
La ricaduta più immediata di questa scoperta potrebbe essere quella di estendere la durata della terapia ormonale adiuvante oltre gli attuali 5 anni; ma questo intervento, come faceva notare il professor Conte, va accuratamente soppesato e misurato rispetto ai rischi della terapia (ad esempio, l’osteoporosi, malattie cardiovascolari, artralgie e mialgie) . Gli autori dell’articolo di Nature, inoltre, si chiedono se la strategia di prolungare la terapia ormonale possa essere realmente sufficiente a scongiurare il rischio di recidive o metastasi tardive, ricordando che un trial del 2016 che aveva testato i benefici di 10 anni della terapia ormonale, aveva dimostrato che la terapia ‘extended version’ aveva sì ridotto il tasso di recidive locali e i tassi di sopravvivenza libera da malattia, ma non quelli di sopravvivenza complessiva.
L’effetto di un prolungamento della terapia ormonale insomma non è del tutto scontato e per capirne di più sono necessari studi con una maggiore durata del follow-up.
E forse è meglio anche ampliare l’orizzonte delle strategie anti-recidiva. Ma per questo sarà necessario analizzare con maggior attenzione le cause alla base del ‘risveglio’ delle cellule tumorali dormienti, anche a distanza di tanti anni.
Le cellule tumorali ‘ addormentate’ riescono ad eludere la sorveglianza del sistema immunitario per anni, ‘incistandosi’ in una nicchia che ne consente la sopravvivenza.Possono entrare in una sorta di letargo per fattori intrinseci (genetici o epigenetici) o estrinseci (il comando della ‘non divisione’ potrebbe venire dalle cellule endoteliali dei vasi, dalle cellule immunitario o dai fibroblasti), che ne arrestano la divisione.
A indurre lo stato di ‘dormienza’ potrebbe essere anche la scarsa vascolarizzazione delle cellule tumorali che di fatto le priva di ossigeno e nutrimento.
Infine il sistema immunitario, pur se non in grado di distruggerle, potrebbe riuscire a tenerle sotto controllo.
Le future strategie anti-metastasi o recidive dovrebbero dunque essere mirate o mantenere le cellule dormienti in uno stato di quiete eterna o a distruggerle mentre ‘sonnecchiano’. Forse il prolungamento della terapia ormonale ha proprio la funzione di continuare a tenere addormentate le cellule tumorali, bene che vada però per un periodo di tempo limitato. Per questo, secondo Cardoso e Curigliano, una strategia migliore sarebbe quella di colpire contemporaneamente le cellule tumorali e il microambiente che le circonda. Ma per farlo è necessario penetrare più a fondo nei segreti della ‘conversazione’ tra cellule tumorali e sistema immunitario ad esempio.
C’è infine la possibilità che le cellule tumorali dormienti entrino in una modalità ‘conservativa’ da un punto di vista evolutivo che le fa entrare in uno stato di riposo prolungato, come delle cellule staminali. Un’astuzia delle cellule maligne che potrebbe però diventare anche il loro tallone d’Achille, se si riuscisse a cristallizzarle in questo sonno eterno.
Maria Rita Montebelli