Da uno studio americano, presentato al congresso dell’AACR, la speranza di mettere a punto trattamenti su ‘misura’ in grado di colpire selettivamente le cellule del cancro dell’ovaio nel loro microambiente. Grazie a tecniche di sequenziamento multiplo, individuate alterazioni dei microRNA e di alcuni geni che potrebbe rappresentare nuovi target terapeutici in questa forma tumorale.
L’individuazione delle alterazioni molecolari che si producono all’interno dei tessuti, all’indomani della chemioterapia, potrebbe rivelarsi di importanza fondamentale per il trattamento del tumore ovarico. Lo suggerisce una nuova ricerca effettuata dai ricercatori del Magee-Womens Research Institute and Foundation (MWRIF) e dell’Istituto di Oncologia dell’Università di Pittsburgh (UPCI), partner dell’UPMC Cancer Center, presentata al congresso dell’American Association for Cancer Research (AACR).
Il gold standard del trattamento per il cancro dell’ovaio per anni è consistito nel ìla somministrazione intraperitoneale di chemioterapici, dopo l’intervento chirurgico. E per questa patologia tumorale purtroppo, a differenza di altre, non sono stati registrati cambiamenti e progressi sostanziali da diversi anni a questa parte.
“La somministrazione intraperitoneale di chemioterapici – spiega Shannon Grabosch, ginecologa oncologa al Magee-Womens Hospital dell’UPMC e primo autore dello studio – per le donne con un carcinoma dell’ovaio, ha rappresentato uno dei maggiori progressi terapeutici, nel migliorare la sopravvivenza di queste pazienti. Purtroppo, ancora non sono noti i meccanismi biologici alla base di questo fenomeno. Per questo, siamo andati ad indagare le alterazioni a livello del microambiente tumorale, dopo la somministrazione della chemioterapia; la scoperta di queste alterazioni infatti potrebbe portare ad individuare nuovi target terapeutici personalizzati”.
I ricercatori dell’Università di Pittsburgh hanno esaminato il liquido peritoneale e campioni di sangue di 13 donne; il materiale biologico è stato prelevato prima del trattamento intraperitoneale e dopo il primo e il secondo ciclo di chemioterapia. E attraverso tecniche di sequenziamento multiplo, gli studiosi sono riusciti ad individuare una serie di alterazioni molecolari, indotte dalla chemioterapia.
“Siamo riusciti ad individuare – spiega Grabosch – alterazioni correlate al trattamento chemioterapico, sia a livello dei micro-RNA (miRNA) che di alcuni geni. E, cosa forse ancora più importante, siamo riusciti a individuare significative alterazioni a livello della cavità peritoneale, risultate diverse rispetto a quelle presenti nel sangue, fatto questo che dimostra come l’ambiente tumorale locale sia un campo sotto-studiato e non ancora sfruttato come possibile nuovo ambito di trattamento. A questo punto è necessario far partire nuovi studi per valutare se le alterazioni evidenziate nel microambiente tumorale dopo la chemioterapia possono rappresentare potenziali target per nuovi farmaci ‘su misura’ e per comprendere meglio i meccanismi alla base del funzionamento della chemioterapia intraperitoneale”.
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