L’esposizione del feto ai betabloccanti non sembra aumentare il rischio di difetti cardiovascolari congeniti. È quanto emerge da una metanalisi realizzata negli USA e pubblicata da JAMA Internal Medicine.La revisione degli studi ha considerato i dati relativi a oltre 300 mila gravidanze
(Reuters Health) – Ming-Sum Lee e colleghi, del Kaiser Permanente Medical Center di Los Angeles, hanno utilizzato i dati di 379.238 gravidanze, in 4.847 delle quali vi era stata un’esposizione del feti ai betabloccanti (2.628 durante il primo trimestre) assunto dalle future mamme, allo scopo di esaminare il rischio di malformazioni cardiache fetali.
Le donne che avevano assunto betabloccanti erano più anziane, avevano indici di massa corporea più elevati, con più elevate probabilità di diagnosi di ipertensione, preeclampsia, eclampsia, iperlipidemia, diabete, insufficienza e aritmia cardiache, rispetto alle donne che non avevano assunto beta- bloccanti. Inoltre, l’età gestazionale dei nascituri al momento del parto era in media anticipata nel gruppo dei neonati esposto ai betabloccanti (37.4 settimane) rispetto al gruppo dei non esposti (38,9 settimane).
E ancora: nell’analisi senza aggiustamenti l’esposizione ai betabloccanti materni è stata associata a un aumento del rischio per il feto di riportare un’anomalia cardiaca pari a 2,7 volte. Tuttavia, dopo l’aggiustamento dei dati (per età materna, indice di massa corporea, e patologie concomitanti) non emergeva alcuna significativa associazione tra l’esposizione ai betabloccanti e le anomalie cardiache congenite fetali, anche se l’esposizione era avvenuta nel primo trimestre di gravidanza.
“Questi risultati suggeriscono che le associazioni viste nell’analisi senza aggiustamenti sono state causate da fattori confondenti, piuttosto che agli effetti conferiti dall’esposizione ai beta-bloccanti in sé – osservano i ricercatori. Anche se questi risultati non escludono definitivamente la possibilità di difetti congeniti fetali in associazione con l’uso di beta-bloccanti, i risultati di questa metanalisi possono rassicurare sull’uso di questa classe di farmaci per il trattamento delle condizioni cardiache che lo richiedono”.
Fonte: JAMA Intern Med 2017
Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)