Non esiste solo una medicina di genere, che fa riferimento essenzialmente ai pazienti, ma anche un’aderenza di genere, in cui sono coinvolti insieme agli assistiti anche i medici e, in particolare, la loro capacità di comunicazione. L’innovativo “fronte” è stato aperto da Raffaella Michieli, segretario nazionale Simg (Società italiana dei medici di medicina generale e delle cure primarie) nel corso del recente Congresso nazionale della società scientifica. Michieli ricorda innanzitutto quanto affermato dal “Manifesto per l’aderenza alla terapia farmacologica sul territorio italiano”: la centralità del rapporto medico-paziente è il fattore-chiave dell’aderenza e non viene descritto il profilo tipo di un paziente aderente o non aderente. A conferma di ciò, secondo una ricerca Doxa la corretta gestione della cura dipende da 3 fattori: la fiducia nei confronti del proprio medico (38%), la motivazione del pazienti (40%) e la costanza e l’impegno del paziente (47%).
«Nello studio Cosmo del 2013» aggiunge Michieli «pur non riscontrandosi differenze di genere nella bassa prevalenza alla terapia antipertensiva, si erano rilevate diverse motivazioni alla non aderenza. Nel maschio un fattore determinante era costituito dalla disfunzione erettile, noto effetto collaterale della classe, specie dei beta-bloccanti, e la relazione con l’obesità, mentre nelle femmine prevaleva l’importanza dell’insoddisfazione nella comunicazione con il medico prescrittore e la presenza di sintomi depressivi». Tali diversità non implicano conclusioni, ma sono dati di fatto che rispecchiano le diversità tra uomini e donne, osserva Michieli. «Peraltro» prosegue «indagando su dati numerici oggettivi, come quelli contenuti nell’ultimo Rapporto Osmed, sembra emergere una maggiore aderenza al trattamento farmacologico nel genere maschile rispetto a quello femminile, in ogni classe terapeutica e per tutte le patologie (fatte poche eccezioni)». Il segretario nazionale Simg riprende l’esempio degli antipertensivi: nel 2013 e nel 2014 la quota di pazienti trattati con questi farmaci aderenti al trattamento sul totale dei pazienti in trattamento con molecole antipertensive è stata del 57,4% nei maschi in entrambi gli anni e, rispettivamente, del 53,6% e 53,9% nelle donne. Questi dati sono preoccupanti, rimarca Michieli, perché è stato calcolato che «un’elevata aderenza alla terapia si associa al 38% di riduzione del rischio di eventi cardiovascolari (Cv) rispetto a pazienti con bassa aderenza al trattamento antipertensivo». Il dato è aggravato dalla presenza di comorbilità, sottolinea il segretario nazionale Simg: il delta di minore aderenza delle donne ipertese rispetto ai maschi ipertesi si mantiene in compresenza di diabete mellito (68,0% vs 71,7%), scompenso cardiaco (61,0% vs 67,7%) e malattia renale cronica (66,4% vs 69,5%). Peculiare è poi il caso delle statine, per le quali molti lavori suggeriscono che solo un’aderenza superiore al 75% consenta una reale diminuzione del numero di eventi Cv e coronarici. Dal Rapporto Osmed emerge una sorta di “differenza prescrittiva di genere”, nel senso che i pazienti con pregressi eventi Cv o diabete trattati con statine ad alta potenza (cioè i casi più gravi) sono prevalentemente maschi (67,0% vs 61,3%), mentre quelli senza pregressi eventi Cv o diabete in trattamento con statine a bassa potenza sono prevalente femmine (35,3% vs 43,5%). A questo corrisponde un’aderenza complessiva al trattamento con statine del 46,4% nei maschi e del 40,0% nelle femmine. «In questo caso sul valore dell’aderenza gioca la prevalenza del trattamento». Dati analoghi di minore aderenza si riscontrano per altre importanti patologie quali il diabete mellito e la broncopneumopatia cronica ostruttiva. «Le uniche eccezioni in cui le donne sono più aderenti sono i trattamenti per osteoporosi e depressione» afferma Michieli, sottolineando come si tratti di patologie che interessano prevalentemente il genere femminile. «Abbiamo bisogno di avere un rapporto che ci permetta di aiutare il paziente a essere aderente al trattamento perché va tutto a beneficio suo e del sistema» conclude «e dobbiamo farlo in maniera differenziata in base a quello che interessa al paziente maschio e al paziente femmina con l’unico obiettivo di ottenere l’azione cronica dei farmaci nelle patologie croniche».
Da Doctor33