Ogni Regione applica le direttive nazionali in maniera diversa. Ma in ogni caso negli anni si sono ridotti i casi di notifica della maggior parte delle malattie prevenibili con le vaccinazioni, per esempio Morbillo ed Epatite B. E si va sempre più diffondendo il valore economico-etico-sociale delle vaccinazioni. Ricciardi: “Evidenti responsabilità degli amministratori locali per le differenze”. IL REPORT
Nascere in una Regione anziché in un’altra può fare la differenza. Un leit motive ormai comune in Italia che si ripropone anche quando si parla di offerta vaccinale.
Ogni Regione applica infatti le direttive nazionali in maniera diversa. Un’offerta eterogenea che espone la salute della popolazione pediatrica e adulta a rischi diversi a seconda del codice postale. Uno scenario che impone quindi sempre di più la necessità di riorganizzare i servizi e di migliorare la qualità delle informazioni e della comunicazione per consentire il passaggio da un regime di obbligatorietà a un regime di raccomandazione che consentirà di allinearsi alle politiche sanitarie degli altri Paesi europei.
Ma se c’è ancora da fare sono anche molti gli obiettivi raggiunti. Si sono, infatti, ridotti negli anni i casi di notifica, e dunque ci si ammala di meno, della maggior parte delle malattie prevenibili con le vaccinazioni, per esempio Morbillo ed Epatite B. E si va sempre più diffondendo il valore economico-etico-sociale delle vaccinazioni.
Sono questi in sintesi i principali dati che emergono dal I Report “Prevenzione vaccinale” pubblicato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane– che ha la sua sede all’Università Cattolica di Roma diretto da Walter Ricciardi epresentato oggi al Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma. Un Report realizzato nell’ambito del Progetto “Prevenzione Italia. Prevenzione come garanzia di sostenibilità e sviluppo del Servizio Sanitario Nazionale” e con il sostegno incondizionato delle aziende farmaceutiche Crucell, Glaxo Smith Kline, Pfizer e Sanofi Pasteur Msd.
Uno scenario d’insieme sulla situazione vaccinale in Italia al quale seguiranno una serie di Report tematici – su argomenti di interesse in Sanità Pubblica, con taglio sia epidemiologico che valutativo-economico sugli aspetti di efficacia, costo-efficacia, impatto sulle risorse a disposizione e fattibilità organizzativa – che andranno poi a costituire un Atlante sullo stato dell’arte della prevenzione in Italia.
Ecco la fotografia dell’Italia dei vaccini
Entrando più in dettaglio, la situazione che emerge dai temi trattati nel Report “Prevenzione Vaccinale” rileva: una diversa applicazione a livello regionale delle direttive nazionali con conseguente disomogeneità sul territorio riguardo l’offerta vaccinale; la necessità di riorganizzare i servizi e di migliorare la qualità delle informazioni e della comunicazione per consentire il passaggio da un regime di obbligatorietà a un regime di raccomandazione al fine di allinearsi alle politiche sanitarie di altri Paesi come per esempio Germania, Spagna e Regno Unito; la riduzione dei casi della maggior parte delle malattie prevenibili con le vaccinazioni, e soggette a notifica (solo a titolo di esempio, nell’arco temporale 2000-2010, l’Epatite B ha registrato un calo di -81,54%, il Morbillo -73,37%, la Rosolia -98,20%), e il rilevante valore economico-etico-sociale delle stesse.
La revisione della normativa nazionale vigente ha evidenziato che, nonostante l’esistenza del Piano nazionale di prevenzione vaccinale (Pnpv) 2012-2014 – documento di riferimento e di guida attualmente in vigore in tema di diritto alla prevenzione di malattie per le quali esistono vaccini efficaci e sicuri – e l’inclusione dal 2001 delle vaccinazioni nei Lea, l’offerta vaccinale sull’intero territorio risulta estremamente eterogenea.
Un esempio? L’offerta da parte dei servizi vaccinali, introdotta nel 2007, della vaccinazione anti-Human Papilloma Virus (HPV) alle ragazze nel 12° anno di vita, sia per le differenze temporali di avvio dell’offerta gratuita nelle singole Regioni/Province Autonome, sia per il limite massimo di età oltre il quale la gratuità non è più prevista.
E ancora, altro esempio di disomogeneità territoriale è rappresentato, relativamente all’obbligatorietà delle vaccinazioni, dalla Regione Veneto che dal 2007 ha sospeso l’obbligo per tutti i nuovi nati a partire dal 1 gennaio 2008 e introdotto un sistema di monitoraggio semestrale al fine di verificare ed evidenziare, in tempi molto brevi, eventuali effetti sfavorevoli del provvedimento adottato, mantenendo inalterato il sistema di offerta gratuita da parte dei servizi vaccinali.
“L’obbligatorietà vaccinale è un tema molto discusso – ha affermato Maria Luisa Di Pietro, docente presso l’Istituto di sanità Pubblica dell’Università cattolica di Roma e co-autrice del Report – e, se in passato poteva essere giustificata dallo status sociale e culturale che caratterizzava il nostro Paese, oggi l’attenzione dovrebbe essere spostata verso il dovere morale del cittadino e, più in particolare, dei genitori se riferito alle vaccinazioni per l’infanzia. All’interno di questo percorso di passaggio diventa fondamentale la qualità dell’informazione basata sulle migliori evidenze scientifiche disponibili, le modalità comunicative e la formazione degli operatori sanitari poiché sia le conoscenze scientifiche che le capacità comunicative e operative di esecuzione e di coordinamento sono basilari per giungere all’obiettivo cui tendono le vaccinazioni”.
Insomma, la prevenzione vaccinale, aggiunge Di Pietro, ha un ruolo altamente sociale “poiché le vaccinazioni non sono fine a loro stesse ma, attraverso il meccanismo di herd immunity (immunità di gruppo), perseguono il duplice obiettivo di salvaguardia di chi vi si sottopone e di tutela della restante popolazione”.
Differenze emergono anche nell’applicazione delle indicazioni del calendario vaccinale, presente nel Piano nazionale prevenzione vaccinale (Pnpv): ogni singola Regione può attuare adeguamenti e/o modifiche tramite provvedimenti normativi. A tal proposito, alcune Società scientifiche e Federazioni accreditate hanno elaborato il Calendario Vaccinale per la Vita, la cui ultima edizione del 2014 amplia l’offerta vaccinale rispetto a quanto riportato nel PNPV, e che viene spesso utilizzato a riferimento delle modifiche normative proposte. Un esempio è l’inclusione del sesso maschile nei programmi vaccinali contro l’HPV da parte di alcune Regioni (Puglia, Veneto, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Liguria).
I dati. L’analisi dei dati di notifica relativi ad alcune malattie prevenibili con la vaccinazione ha evidenziato che, per quanto riguarda le malattie per le quali in Italia esiste l’obbligo vaccinale, i casi registrati sono pari a 0 per la Poliomielite e la Difterite e pari a 57 per il Tetano (2011), mentre per l’Epatite B, resa obbligatoria molto più tardi (2001), si registra una netta contrazione di casi stessi negli anni osservati (da 1.528 casi nel 2000 a 282 casi nel 2010, ossia -81,54%). Relativamente a tali patologie si registrano anche, a livello nazionale, valori di copertura ottimali in linea con l’obiettivo minimo stabilito nel vigente PNPV (almeno il 95% entro i 2 anni di età).
I dati di notifica di Morbillo, Rosolia e Parotite, per le quali la vaccinazione risulta raccomandata (vaccino combinato), mostrano diminuzioni molto consistenti (Morbillo: da 1.457 casi nel 2000 a 388 casi nel 2010 – ossia -73,37%; Parotite: da 37.669 casi nel 2000 a 534 casi nel 2010 – ossia -98,58%; Rosolia: da 2.605 casi nel 2000 a 47 casi nel 2010 – ossia -98,20%). Nonostante la riduzione dei casi, però, la relativa copertura vaccinale non raggiunge ancora il valore ottimale (raggiungimento e mantenimento nel tempo di almeno il 95%) previsto dal Piano Nazionale per l’Eliminazione del Morbillo e della Rosolia congenita in vigore, ma anzi, dal confronto dei dati del 2013 con l’anno precedente, si osserva addirittura un decremento (-2,11%).
Oltre alle vaccinazioni “tradizionalmente” raccomandate, nel Pnpv è stata ampliata l’offerta vaccinale in tutto il Paese di nuovi vaccini che hanno dimostrato elevata efficacia nel prevenire alcune malattie infettive con grave decorso clinico (per esempio, infezioni invasive da meningococco) o malattie che, pur decorrendo nella maggior parte dei casi senza complicanze, hanno un’elevata incidenza (Varicella).
Nel dettaglio, relativamente a queste malattie, il numero di casi notificati di infezioni da meningococco risultano in diminuzione, considerando l’arco temporale 2000-2010 (da 189 casi nel 2000 a 54 casi nel 2010 – ossia -72,16%). Analoga situazione di decremento si riscontra anche per la Varicella (da 95.174 casi nel 2000 a 40.154 casi nel 2010 – ossia -57,81%).
Relativamente alle rispettive coperture vaccinali per il meningococco, rientrando tra le vaccinazioni di recente raccomandazione, a oggi non è stata effettuata a livello nazionale la raccolta routinaria dei dati, ma sono stati eseguiti solo studi ad hoc che comunque evidenziano un incremento della copertura nel tempo (2007-2012). Per la Varicella, invece, non si hanno ancora dati poiché il PNPV raccomanda tale pratica per i nuovi nati a partire dal 2015.
Per quanto riguarda la vaccinazione antinfluenzale offerta gratuitamente ai gruppi di popolazione considerati a rischio, in particolare agli anziani (65 anni e oltre), il PNPV stabilisce per gli ultra 65enni il 75% come obiettivo minimo perseguibile e il 95% come obiettivo ottimale. In Italia, purtroppo, con le percentuali di copertura vaccinale attualmente conseguite, l’obiettivo minimo resta ancora lontano dall’essere raggiunto. Infatti, nella stagione 2013-2014, la copertura vaccinale degli anziani risulta a livello nazionale pari a 55,4% e, considerando l’arco temporale 2002-2003/2013-2014, si è osservata addirittura una diminuzione dell’8,1%. Nella stagione 2014-2015 la copertura vaccinale negli ultra 65enni risulta pari al 49%, registrando quindi una ulteriore riduzione (dati disponibili, ma non presenti nel Report).
Inoltre, tra le vaccinazioni consigliate per alcune categorie a rischio, tra cui il vaccino anti-rotavirus (neonati e bambini di età inferiori ai 5 anni), immesso in commercio in Europa e negli USA nel 2006, anche se la comunità scientifica è d’accordo nel raccomandare il suo utilizzo all’interno dei programmi nazionali di immunizzazione, il nostro Ministero della Salute non ha, a oggi, ancora inserito tale raccomandazione nel PNPV.
Con la vaccinazioni si risparmia. “L’uso appropriato di vaccini – ha spiegato Alessandro Solipaca, Segretario scientifico di Osservasalute e Co-autore del Report Prevenzione vaccinale – determina la riduzione dei costi globali per la gestione delle patologie che gli stessi prevengono (dalle patologie infettive vere e proprie alle evoluzioni delle stesse nel tempo fino ad alcune patologie tumorali correlate), per cui, fondamentale, è l’allocazione delle risorse nel predisporre interventi preventivi finalizzati a evitare l’evento malattia e il ricorso al Ssn per finalità di cura”.
I benefici dei programmi di immunizzazione assumono una valenza differente che dipende dall’età dei soggetti. Nel caso dei bambini si parla di lungo termine poiché la non immunizzazione in età infantile, oltre a determinare una minore probabilità di sopravvivenza e impattare sullo sviluppo psico-fisico, incide anche in termini di mancato o incompleto accesso al sistema istruzione e sulle capacità produttive in età adulta in caso di disabilità.
Per la popolazione in età adolescenziale, invece, i programmi di richiamo e di recupero dell’immunizzazione rappresentano un investimento a medio-lungo termine poiché hanno una funzione protettiva su patologie disabilitanti che possono impattare sul loro sviluppo prima dell’età adulta, condizionando le future capacità produttive.
Infine, se si considera la fascia di popolazione adulta l’investimento derivante dai programmi di immunizzazione è a breve termine, generando in tempi rapidi un guadagno di salute che si riflette in un incremento della produttività.
Anche per la popolazione anziana i programmi di immunizzazione sono un investimento a breve termine che consentono di diminuire il rischio di sviluppo di malattie infettive, che nei soggetti anziani causano un acceleramento del declino complessivo fino al decesso.
Alcune analisi di scenario, descritte nel Report, evidenziano come, nel caso dell’Epatite B, tenendo conto dei dati di incidenza, cronicizzazione e letalità, tra il 1991-2010 si stima siano stati per esempio evitati alcune centinaia di casi di epatocarcinoma.
Relativamente all’influenza, invece, si stima che l’assenza di una strategia vaccinale genererebbe più di 2 milioni di casi, con circa 30.000 decessi, mentre la somministrazione del vaccino ridurrebbe i casi a 1,5 milioni. Nel nostro Paese inoltre, la durata media dell’assenza dal lavoro per sindrome influenzale è di circa 4,8 giorni ed è stato calcolato che ogni caso di influenza costa, complessivamente, 330€.
“Oggi le vaccinazioni sono a un punto di svolta – ha aggiunto Walter Ricciardi, Direttore di Osservasalute – la pratica vaccinale è l’intervento di Sanità Pubblica più efficace al mondo, dopo l’acqua pulita, per promuovere la buona salute e salvare vite umane. È per tale motivo che risulta fondamentale l’unione di tutta la comunità scientifica per diffonderne il valore grazie, anche, al supporto di strumenti evidence-based. Proprio quest’ultima è la motivazione che ha portato alla stesura del Rapporto Prevenzione Vaccinale. La sfida più importante è oggi quella di far capire alla popolazione, e in particolare modo a coloro che decidono, più o meno consapevolmente, di non proteggersi con una tecnologia sempre più sicura ed efficace nel tempo, quale sia il valore sociale, etico, economico e soprattutto sanitario delle vaccinazioni stesse”.
“Ci sono evidenti responsabilità politiche degli amministratori locali per le differenze registrate sul territorio nazionale – ha affermato Walter Ricciardi – . Lo Stato centrale la sua parte la fa. C’è un piano vaccinale in cui d’accordo con il Mef il Piano è stato finanziato come fosse un super Lea. Ci sono differenze pazzesche. Per non parlare di regioni come la Sicilia dov’è diminuita la quota di prevenzione. Questo è un argomento prioritario su cui intervenire”.
Rispetto al futuro dei vaccini Ricciardi ha poi “specificato come soltanto nel prossimo decennio, ne arriveranno circa 30. I vaccini potrebbero essere una specie di antibiotico del futuro, visto che l’industria non ha più investito negli antibiotici perché non aveva
certezza nel ritorno sugli investimenti”. Ma per farlo “occorre vincere resistenza e di diffidenza che fanno solo danni, l’industria potrebbe cominciare a disinvestire come di fatto sta facendo. I vaccini per l’infanzia, per fare un esempio, nel mondo vengono prodotti da due aziende. Oppure addirittura il vaccino contro la febbre gialla, una malattia che ogni anno miete migliaia di vittime in Africa e in Asia, oggi è prodotto da una sola azienda. Per questo serve un’alleanza veramente per evitare” la fuga.
L’auspicio per Ricciardi è che, affinché i vaccini abbiano un futuro importante, tutti gli ‘attori’ coinvolti siano in grado di assumersi le responsabilità legate al proprio ruolo. In questo scenario il governo centrale dovrà promuovere una programmazione omogenea su tutto il territorio nazionale e finanziare adeguatamente i vaccini di provata sicurezza e costo-efficacia; i governi regionali avranno il compito di recepire ed implementare i piani vaccinali in modo omogeneo nel Paese; i professionisti sanitari dovranno aggiornare costantemente le proprie conoscenze e basare le decisioni riguardanti la propria salute e quella dei pazienti sull’evidenza scientifica e l’etica della responsabilità, informando adeguatamente la popolazione; i cittadini, da ultimi ma certamente importanti al pari di tutti gli altri, avranno il compito di informarsi attivamente sulle opportunità offerte dalla medicina e dalla ricerca scientifica per migliorare la propria salute scegliendo liberamente e responsabilmente”.
L’articolo su Quotidiano Sanità