Violenza di genere: possiamo andare oltre. Intervista a Nicla Vassallo

25 Nov 2020
Fonte: Violenza di genere: possiamo andare oltre. Intervista a Nicla Vassallo, filosofa | UniGe.life

Violenza di genere: possiamo andare oltre.

La violenza di genere: una realtà contro la quale ci scontriamo e che dobbiamo contribuire a cambiare. La gerarchia di genere è uno dei presupposti della violenza: così come il perseverare di stereotipi comportamentali, il mancato riconoscimento della competenza, l’ossessiva distinzione tra uomo e donna. Nicla Vassallo, saggista, filosofa e massima esperta di gender studies, in questa intervista telefonica delinea con precisione lo stato attuale (sconfortante) e le possibili soluzioni.

Genere e gerarchie

Lei afferma che non dovrebbero esserci gerarchie di genere, ma che, purtroppo, c’è ancora bisogno di parlare di differenze di genere perché ci sono ancora discriminazioni: questo può essere il fulcro del problema?

Nicla Vassallo: “Sì, non avrebbe senso parlare di genere, perlomeno non in senso teorico, ma ha senso parlarne perché c’è una discriminazione, un po’ come avviene per il razzismo: le razze non esistono, ma parliamo di razzismo perché il razzismo esiste, allo stesso modo aspiriamo a che l’appartenenza al genere non ci sia più, da un punto di vista filosofico. L’appartenenza a un genere è come una gabbia, prevede comportamenti stereotipati da tenere per appartenere all’una o all’altra categoria: si spazia da presunte norme da seguire relative al proprio corpo, fino a quelle relative ai comportamenti o alle preferenze.”

La stessa cosa però vale anche per gli uomini: anche loro sono in una gabbia di presunti comportamenti in cui identificarsi.

N.V. “Vale anche per loro, anche per loro essere uomo è una gabbia, ma c’è una differenza: la gabbia di appartenenza al genere donna è più costrittiva, è costruita da società maschili o maschiliste e accentua la discriminazione e l’inferiorità delle donne, mentre la gabbia maschile tende ad accentuare la superiorità degli uomini. Non è una differenza da poco.”

Dalle discriminazioni alle violenze il passo è breve

Dati ISTAT: “Delle 133 donne uccise nel 2018, l’81,2% è stata uccisa da una persona conosciuta. In particolare, nel 54,9% dei casi dal partner attuale o dal precedente, nel 24,8% dei casi da un familiare (inclusi i figli e i genitori) e nell’1,5% dei casi da un’altra persona che conosceva (amici, colleghi, ecc.)”.
Con questi dati alla mano è facile comprendere come mai durante il lockdown di marzo/aprile 2020 ci sia stato un aumento del 73% delle chiamate ai centri antiviolenza: la violenza è in casa. Come aiutare in questi momenti le donne vittime di violenza a uscire dall’incubo?

N.V. “Questo attesta che le violenze si consumano in casa, è un dato che viene spesso ignorato: è il motivo per cui, nonostante il genere in linea teorica andrebbe abolito, vada ancora sottolineato, proprio perché esiste la discriminazione di genere. Sa che nel mondo, le violenze domestiche sono la prima causa di morte e disabilità per le donne? (dati del report dell’Agenzia Europea per i diritti fondamentali del 2014)
La consapevolezza sarebbe sempre la migliore soluzione, dobbiamo tendere a creare una società in cui donne e uomini siano consapevoli della loro pari dignità; per adesso non ci siamo: pensi che il delitto d’onore è stato abolito nel 1981, arrivato dopo l’abrogazione del reato di adulterio, dopo l’introduzione del divorzio, dopo la riforma del diritto di famiglia, dopo l’introduzione dell’aborto. Perché il movimento femminista ci ha messo anni e anni per portare alla sua abolizione? Tornando all’attualità, ci sono soluzioni che possono sanare le conseguenze drammatiche di questa mancata consapevolezza. La salvezza è il contatto possibile con l’esterno: amici e amiche (a volte purtroppo non ci sono), o persone che aiutino le donne a evadere. Il ritorno delle donne alla vita casalinga, dovuto alla pandemia, in alcuni casi per via della perdita del lavoro, della cassa integrazione, ma anche per la diffusione del lavoro a distanza, porta le situazioni di violenza a degenerare e le donne a non avere più appigli che le conducano fuori dalla famiglia. Anche nei momenti di ‘normalità’, nel nostro paese chi rinuncia al lavoro sono le donne perchè le strutture esterne che le appoggiano, come gli asili nido, mancano. Mancano asili aziendali, mancano sostegni alla genitorialità e ciò in una società ancora maschilista, attribuisce il compito alle donne di sopperirvi. Questo ruolo ‘casalingo’ in cui si accudiscono non solo figli, ma pure anziani si deve prevalentemente a una società maschilista. Eppure esistono donne che scelgono (scelta consapevole) di non lavorare fuori casa per badare al proprio marito: donne/badanti.
Abbiamo visto come restare in casa sia limitante e foriero di mancata ribellione alle violenze, ma le discriminazioni sono talmente radicate che c’è un’idea pregiudiziale della donna che la vede legata al focolare domestico per vocazione: per questo la spinta verso azioni che aiutino la genitorialità, per esempio, viene resa debole e secondaria, mentre sarebbe una delle soluzioni”

Il riconoscimento della competenza

Parliamo di soluzioni a lungo termine: bisogna trovare il modo per riuscire a diventare una società egualitaria. Cosa ne pensa delle azioni positive, come le quote rosa?

N.V. “Non considero le quote rosa azioni positive, sono invece a favore delle competenze. Dobbiamo pensare a vivere e ricostruire democrazie basate sulle persone che dimostrano competenze, aldilà del genere di appartenenza. Questo sia sul piano della politica, che dell’università e della formazione, che sul piano dell’economia. Servono persone che facciano emergere il meglio e sappiano prospettarci un futuro degno di noi esseri umani. Le faccio un esempio. La scelta di Kamala Harris: è una scelta di qualità, di competenza. Joe Biden ha compiuto e sta compiendo una rivoluzione politica e culturale, non solo con lei, optando per donne di competenza e sapere elevato. La soluzione alla discriminazione di genere è iniziare a ragionare, adoperando la nostra intelligenza, scommettere su una scuola e un’università in cui si insegni a farlo: solo ragionando possiamo giungere a comprendere quanto sia deleteria la differenza che facciamo tra supposte competenze delle donne e supposte competenze degli uomini. D’altra parte i dati sul gender gap attestano che l’Italia rimane paese in cui sussiste un baratro eclatante tra i due generi. Siamo un paese ‘primitivo’, ma possiamo evolverci. Questo anche senza forzare le cose con una parità ‘su carta’: basta fare in modo che a contare sia la competenza, che a decidere debbano essere le persone competenti: in questo modo sarebbe premiato lo sviluppo della propria identità personale. È tornata in questi anni in modo preponderante la caratterizzazione in rosa e azzurro per i bambini, la divisione netta tra ruolo di madre e di padre, il double standard. Tutti segnali pessimi, a cui si può e si deve rispondere con la ragione.”

 

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