La sclerodermia è una malattia cronica del tessuto connettivo, a eziologia multifattoriale e patogenesi autoimmunitaria, caratterizzata dal progressivo accumulo di tessuto fibroso a carico della cute e degli organi interni. È la patologia del tessuto connettivo con la prognosi peggiore e ha effetti gravemente invalidanti che compromettono la qualità di vita dei pazienti, rappresentati non solo dai danni d’organo, ma anche dai cambiamenti nell’aspetto fisico dovuti alla sclerosi cutanea, all’atrofia muscolare e alle contratture articolari.
Sono circa 25.000 le persone colpite in Italia, con 1000 nuovi casi annui soprattutto tra le donne.
Clinicamente si distinguono forme di sclerodermia localizzate (Morfea e Scleroderma lineare che colpiscono preferibilmente l’infanzia) e generalizzate (cui appartiene la Sclerosi sistemica).
L’esordio della malattia è in genere caratterizzato dall’insorgenza del fenomeno di Raynaud, dalla comparsa di edema digitale (puffy fingers), dalla sclerodattilia (la cute delle dita diviene dura, adesa ai piani profondi, lucente, alterata dalla presenza di discromie prevalentemente iperpigmentate, eventualmente associate a calcificazioni sottocutanee e ulcere) e, nella maggior parte dei casi, dalla positività di autoanticorpi specifici. Gli autoanticorpi e la videocapillaroscopia sono considerati i principali strumenti diagnostici per indagare i pazienti nel sospetto di una Sclerosi sistemica in fase precoce.
Nella sclerosi “classica” la fibrosi simmetrica della cute delle dita può estendersi agli avambracci, al tronco e al volto. La prognosi è influenzata dagli organi che sono colpiti dalla malattia; di grave significato prognostico è l’interessamento cardiaco e renale.