Salute materno-infantile

La salute materno-infantile rappresenta un’area prioritaria della salute pubblica non solo perché la gravidanza, il parto ed il puerperio sono la prima causa di ricovero per le donne, ma perché gli eventi “intorno” alla nascita sono riconosciuti a livello internazionale tra i migliori parametri per valutare la qualità di tutta l’assistenza sanitaria di un Paese.

Insights

L’analgesia epidurale è stata scientificamente riconosciuta come la tecnica più efficace e sicura per il controllo del dolore in corso di travaglio di parto, priva di interferenze con la fisiologia del parto stesso e atta a consentire una partecipazione attiva da parte della donna. Lo stesso Comitato Nazionale di Bioetica ha definito l’analgesia epidurale “il mezzo che la medicina offre per compiere una libera scelta e per realizzare un maggior grado di consapevolezza e di partecipazione all’evento parto”, riconoscendo che “il diritto della partoriente di scegliere un’anestesia efficace dovrebbe essere incluso tra quelli garantiti a titolo gratuito nei livelli essenziali di assistenza”. Nonostante l’elevata richiesta da parte delle donne (90%) e l’inserimento dell’analgesia epidurale (a far tempo dal 2008) nelle proposte di aggiornamento dei LEA, la possibilità di usufruirne è, di fatto, offerta in modo estremamente difforme all’interno della rete assistenziale dei punti nascita per la presenza di un numero limitato di strutture attrezzate per l’erogazione del servizio in forma gratuita e continuativa 24 ore su 24. Eppure il nostro Paese è all’avanguardia circa la conoscenza dell’analgesia epidurale, tanto da essere stato il primo nel panorama europeo a introdurre l’innovativa tecnica Pieb (Programmed Intermittent Epidural Boluses, cioè somministrazione a boli intermittenti programmati) associata alla Pcea (Analgesia Epidurale controllata della partoriente) che permette alla donna di ottenere un effetto di analgesia costante e di personalizzare allo stesso tempo la somministrazione dell’analgesico secondo le proprie esigenze. L’istituzione di servizi di analgesia ostetrica con copertura delle 24 ore, al di là di garantire alle donne il diritto a partorire senza dolore, sicuramente contribuirebbe a migliorare i livelli di sicurezza e a ridurre la percentuale di parti chirurgici mediante taglio cesareo, che nel nostro Paese è la più alta d’Europa (38%) ben superiore ai valori raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La mancanza di un codice obbligatorio specifico che identifichi la procedura all’interno della SDO (scheda di dimissione ospedaliera) e del CeDAP (certificato di assistenza al parto) è la causa principale dell’assenza di dati attendibili su scala nazionale. Nel 2011 è stata condotta una ricerca sull’offerta del servizio di analgesia epidurale da parte delle strutture ospedaliere e sulle modalità di erogazione, promossa dal Gruppo di Studio in Anestesia e Analgesia in Ostetricia della Società Italiana di Anestesiologia (SIAARTI) coordinata dal professor Giorgio Capogna e supportata da una borsa di studio SIAARTI-ONDa erogata da Onda. L’indagine ha evidenziato che meno della metà delle strutture componenti la rete assistenziale dei punti nascita dispongono di tale servizio (239 su 580), con una distribuzione regionale che risulta disomogenea con marcato gradiente tra le regioni settentrionali e quelle meridionali; in queste ultime, infatti, si registrano in media percentuali inferiori di parti in analgesia. (Tratto dal Libro bianco di Onda, 2013)

Il panorama italiano si caratterizza per la presenza di un numero eccessivamente elevato di strutture afferenti alla rete assistenziale dei punti nascita, peraltro non sempre adeguatamente attrezzate.
Da qui è emersa l’esigenza di definire a livello nazionale un piano di riorganizzazione della rete stessa.
L’Accordo approvato dalla Conferenza Stato-Regioni (pubblicato sulla GU n. 13 del 18.01.11) prevede lo sviluppo di un Programma Nazionale, atto a promuovere e migliorare la qualità, la sicurezza e l’appropriatezza degli interventi e a ridurre il ricorso al taglio cesareo.
Il piano è articolato in dieci linee di azione:

  1. Misure di politica sanitaria e di accreditamento
  2. Carta dei Servizi per il percorso nascita
  3. Integrazione territorio-ospedale
  4. Sviluppo di linee guida sulla gravidanza fisiologica e sul taglio cesareo da parte del sistema Nazionale Linee Guida – Istituto Superiore di Sanità
  5. Programma di implementazione delle Linee Guida
  6. Elaborazione, diffusione e implementazione di raccomandazioni e strumenti per la sicurezza del percorso nascita
  7. Procedure di controllo del dolore nel corso del travaglio e del parto
  8. Formazione degli operatori
  9. Monitoraggio e verifica delle attività
  10. Istituzione di una funzione di coordinamento permanente per il percorso nascita.

Relativamente ai punti nascita, le linee di azione riguardano la razionalizzazione/riduzione progressiva delle strutture con numero di parti >1.000/anno e l’abbinamento, per pari complessità di attività, delle Unità Operative ostetrico-ginecologiche con le Unità Operative neonatologiche/pediatriche mettendo a regime, contemporaneamente, il Sistema di Trasporto Assistito Materno (STAM) e il Sistema di Trasporto di Emergenza Neonatale (STEN).
In base a queste nuove disposizioni i punti nascita che assistono meno di 500 parti/anno sono destinati a scomparire, mentre quelli tra 500-1.000 parti/anno verranno progressivamente accorpati.
La quota di almeno 1.000 nascite/anno, quindi, è lo standard cui tendere e le strutture con numerosità inferiore, ma non al di sotto di 500 parti/anno, potranno essere previste solo sulla base di motivate valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle aree geografiche in esame.
La nuova organizzazione, pertanto, risulterà articolata su due livelli, per ciascuno dei quali sono stati definiti specifici standard operativi, di sicurezza, tecnologici nonché le funzioni collegate ai livelli di assistenza che devono essere garantite dalle strutture.
La numerosità dei parti >1000/anno costituisce il prerequisito per un’operatività di secondo livello: per raggiungere compiutamente il secondo livello, al numero dei parti deve aggiungersi una serie di altre funzioni e capacità assistenziali oltre alla presenza di una Terapia Intensiva Neonatale.
Ad oggi la riorganizzazione non è ancora entrata a regime: l’attuazione del Piano era prevista nell’arco del triennio 2010-2012, ma solo alcune regioni l’hanno recepito e lo stanno mettendo in atto. Tra le regioni più virtuose, la Sicilia è in fase di attiva riorganizzazione e ha ipotizzato una nuova rete di punti nascita attraverso la razionalizzazione di quella esistente e il potenziamento dei servizi di trasporto materno – assistito e di emergenza neonatale.
È cruciale che sia progressivamente reso operativo a livello locale, regionale e nazionale quanto stabilito nei dieci punti programmatici contenuti nel Piano per il riordino dei punti nascita in modo da raggiungere i due obiettivi fondamentali:

  • realizzare sul territorio nazionale un percorso nascita omogeneo;
  • migliorare la qualità, la sicurezza e l’appropriatezza dell’assistenza alla donna e al nascituro.

(Tratto dal Libro bianco di Onda, 2013)

Il Manuale degli standard per la valutazione dei punti nascita, frutto di un lavoro di squadra (GINS, Gruppo Italiano Nascita Sicura) cui hanno preso parte numerose società scientifiche e associazioni, tra cui anche Onda, nasce nell’ottica del piano di riorganizzazione dei punti nascita con l’obiettivo di garantire migliori performance assistenziali in termini di qualità e sicurezza relativamente all’evento nascita (travaglio e parto) in condizioni sia fisiologiche sia patologiche.
Il documento, che è stato presentato in Senato nel dicembre 2012, ha lo scopo di rappresentare uno strumento di valutazione oggettiva, basata su parametri standard misurabili, delle strutture pubbliche e private da accreditare.
Gli standard consentono, infatti, di identificare i comportamenti sicuri, creare le migliori condizioni per operare uniformemente nel tempo e verificare periodicamente i livelli di performance e sicurezza raggiunti, innescando così un processo che tende al miglioramento continuo.
All’interno del Manuale sono esplicitati gli step del percorso per la certificazione, che ha come oggetto di valutazione i seguenti ambiti:

  • competenze del personale, standardizzazione della pratica clinica e sicurezza di madre e neonato
  • diritti della madre e del neonato di informazione ed educazione sanitaria
  • valutazione dei bisogni e pianificazione della cura
  • travaglio e parto
  • gestione e uso sicuro dei farmaci
  • prevenzione e controllo infezioni associate all’assistenza sanitaria
  • gestione della cartella clinica e comunicazione
  • leadership del punto nascita
  • ambiente sicuro
  • misurazione e miglioramento delle performance.

Per ciascuna di queste aree sono stati definiti gli standard, partendo da quelli della Joint Commission International, che sono stati valutati e adattati alla realtà italiana dal Board tecnico multidisciplinare componente il GINS.

(Tratto dal Libro bianco di Onda, 2013)

La nascita pretermine, prima cioè della 37ª settimana di gestazione, rappresenta la principale causa di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) a livello nazionale e globale.
Secondo il rapporto “Born too soon: the global action report on preterm birth” pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel maggio 2012, ogni anno nel mondo nascono 15 milioni di bambini prematuri con un rapporto di oltre una nascita pretermine ogni dieci.
Si tratta di un fenomeno che negli ultimi vent’anni è aumentato a livello mondiale, anche se si registra una forte disparità di incidenza tra le diverse aree geografiche (oltre il 60% delle nascite premature avviene in Africa e nell’Asia del sud). Mentre nei paesi poveri le cause di tale incremento sono da ricondurre più frequentemente a malattie infettive (in particolare malaria e AIDS), alle carenze assistenziali, alle drammatiche condizioni igienico-sanitarie e di deprivazione sociale, per quelli ad alto reddito sono da annoverare l’aumento dell’età materna e il maggior ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita che frequentemente esitano in gravidanze plurigemellari.
In Italia ogni anno nascono circa 50.000 bambini prematuri. Secondo i dati riportati nell’ultimo rapporto del Ministero della Salute sui certificati di assistenza al parto-CeDAP pubblicato nel 2011 in riferimento all’anno 2008[1], l’Italia si colloca nella media europea: su un numero totale di parti pari a 544.718, la percentuale di nati ≤ 37ª di gestazione è di 6,8 e ≤ 32ª settimana di 0,9; la percentuale di nati di peso inferiore a 2500 e a 1500 grammi è, rispettivamente, pari a 6,8% e 1% del totale.
Al di là delle conseguenze sulla qualità di vita dei bambini stessi e delle loro famiglie, si deve considerare come il fenomeno si accompagni a costi estremamente elevati per le cure e l’assistenza erogate per garantirne la sopravvivenza: si stima che per ogni prematuro estremo sopravvissuto (nato cioè prima delle 28 settimane) i costi oscillino tra i 100 e i 300 mila euro a seconda della gravità e della complessità del quadro clinico.
L’Italia è stato il primo paese che ha risposto all’appello delle Nazioni Unite lanciato nel 2010 dal Segretario Generale Ban Ki-moon, con la “Carta dei diritti del neonato prematuro”, presentata in Senato nel dicembre dello stesso anno, avente l’obiettivo di far riconoscere da parte delle Istituzioni il diritto prioritario dei bambini nati prima del termine di ricevere il massimo livello di attenzione e cure congruo alle proprie peculiari condizioni.

Le unità di assistenza neonatale dislocate sul territorio non risultano distribuite adeguatamente rispetto ai punti nascita e alla numerosità dei parti con una situazione marcatamente più svantaggiata a carico delle regioni meridionali, dove si registra una maggior mortalità dei neonati di peso < 1500 g.
La rete attuale, che secondo quanto disposto dal DM del 24 aprile 2000 “Progetto Obiettivo Materno Infantile” era strutturata in tre livelli di assistenza – fisiologico, patologico, intensivo – è in fase di riorganizzazione. Nel dicembre 2010 è stato, infatti, approvato il documento “Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo” che prevede, tra le dieci linee d’azione, la razionalizzazione della rete dei punti nascita e l’abbinamento per coerenza e pari complessità di attività delle Unità Operative ostetrico-ginecologiche con quelle neonatologiche/pediatriche.
Secondo tale piano i livelli di assistenza erogata all’interno dei punti nascita saranno articolati su due livelli (con l’intento di migliorare il livello attualmente più basso), distinti in base a definiti standard operativi, tecnologici e di sicurezza: strutture di “primo livello” dedicate a parti fisiologici e di “secondo livello” in grado di gestire anche i casi più difficili e a rischio di complicanze. I nuovi standard qualitativi prevedono la presenza di reparti di Terapia Intensiva neonatale-TIN in strutture che registrano almeno 50 neonati/anno di peso alla nascita <1.500 gr con un bacino di utenza di almeno 5.000 nati/anno.  La definizione delle dimensioni minime consigliate contribuisce a migliorare la sicurezza e la qualità delle prestazioni.
In base ai dati registrati nel 2008, delle 125 TIN presenti nei 551 punti nascita rilevati, soltanto 100 si trovano in punti nascita con un volume di parti annui >1.000; le restanti 25 sono collocate in strutture che effettuano meno di 1.000 parti all’anno con il conseguente rischio che una parte di neonati in condizioni critiche non possa ricevere congrua assistenza. Addirittura ci sono regioni, nella fattispecie Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Abruzzo e Sicilia in cui sono presenti dei reparti TIN in punti nascita con un volume di attività basso (<800 parti/anno).
Il rapporto Istisan 11/44 “Esiti dei neonati di basso peso nelle Terapie Intensive Neonatali partecipanti all’Italian Neonatal Network nel 2008” nato dalla collaborazione tra Istituto Superiore di Sanità (ISS), Network neonatale italiano (INN) e Società Italiana di Neonatologia (SIN), rappresenta il primo lavoro di analisi sistematica della situazione dell’assistenza dei neonati pretermine, raccogliendo i dati di attività delle 56 Terapie intensive neonatali (TIN) afferenti al network e quelli di esito dei neonati ricoverati di peso inferiore ai 1500 grammi o di età gestazionale inferiore alle 30 settimane.
Dal rapporto emerge con evidenza come l’offerta dei servizi sia estremamente eterogenea sul piano organizzativo, per le diverse realtà strutturali, di dotazioni strumentali e operatori sanitari assegnati ma anche per le modalità operative di assistenza al parto, l’accessibilità ai servizi, la regolamentazione di ingresso dei genitori nelle TIN, la diversa sensibilità nei confronti della coppia, la variabilità di ricorso alle tecniche di ventilazione, la prevalenza di complicanze neonatali e i diversi risultati negli esiti.
Al fine di migliorare la qualità, la sicurezza e l’accessibilità dei servizi, è fondamentale che, nel rispetto delle singole realtà culturali ed esigenze logistiche, i reparti di TIN trovino comuni denominatori comportamentali, strutturali e organizzativi che rispondano efficacemente ai bisogni dei neonati prematuri, garantendo una gestione multidisciplinare altamente specializzata e la continuità delle cure post-ricovero attraverso un piano di follow-up personalizzato e condiviso con i genitori.
Al di là dell’assistenza neonatale, le unità di TIN devono essere in grado di fornire un sostegno ai genitori, spesso impreparati e gravemente provati dalla nascita di un neonato prematuro. Angoscia, senso di colpa e di inadeguatezza, paura compromettono l’equilibrio emotivo in particolare della madre, che presenta un maggior rischio di manifestare sintomi depressivi rispetto alle mamme che affrontano il parto a termine.
Diversi studi suggeriscono che il supporto e la promozione alla partecipazione attiva della madre nella care del bambino sono importanti fattori protettivi in grado di mediare il disagio genitoriale. Per questo i genitori che afferisco alle TIN devono poter contare su un sostegno psicologico specifico che li aiuti a elaborare e contenere il disagio emozionale sperimentato e devono altresì essere attivamente coinvolti nei processi di cura e assistenza del neonato.
Al fine di identificare i bisogni di questi genitori, è buona prassi ricorrere presso le TIN all’impiego di scale di valutazione che misurino il grado di stress parentale e la percezione del supporto ricevuto dal personale infermieristico durante il ricovero.

Nel corso degli ultimi decenni lo sviluppo della medicina neonatale ha consentito di raggiungere risultati importati in termini di riduzione della mortalità dei neonati pretermine anche nel caso di età gestazionali critiche. Tuttavia, ad oggi ci sono ancora marcate differenze regionali con maggior svantaggio per il meridione. Un primo obiettivo è dunque quello di allineare i valori di mortalità infantile registrati nelle regioni del sud con quelli censiti al nord e al centro Italia.
La sfida per il prossimo futuro è rappresentata dal contenimento delle complicanze a lungo termine, in particolare quelle neurologico-sensoriali, che fanno seguito alla nascita pretermine, alle patologie correlate e alle terapie praticate. Infatti, se da un lato il miglioramento delle cure e l’introduzione di nuove tecnologie hanno contribuito ad aumentare la sopravvivenza dei neonati di peso ed età gestazionale più bassi, dall’altro hanno determinato un aumento dell’incidenza delle patologie respiratorie, delle complicanze neurologiche e dei ritardi di crescita postnatali.

 (Tratto dal Libro bianco di Onda, 2013)

Il latte materno rappresenta il nutrimento ideale per il neonato: le sue caratteristiche – in termini di composizione e variabilità nel corso delle diverse fasi di crescita e durante la stessa poppata – lo rendono unico e irriproducibile. Fornisce tutti gli elementi nutritivi necessari, suddivisi nelle corrette proporzioni, come alcuni acidi grassi polinsaturi, proteine e ferro assimilabile; inoltre, contiene sostanze bioattive e immunologiche, che sono fondamentali sia per proteggere il bambino da eventuali infezioni, batteriche o virali, sia per favorire lo sviluppo intestinale.

Il latte materno è inoltre il primo strumento e il primo alimento in grado di prevenire patologie quali il sovrappeso e l’obesità, grazie alla sua composizione nutrizionale, alla presenza di sostanze protettive e all’abitudine a sapori differenziati trasferiti dal cibo assunto dalla mamma al latte.

È per questo che tutti i bambini dovrebbero essere esclusivamente allattati al seno per i primi sei mesi di vita.

I vantaggi per la mamma:

  • quanto più comincia precocemente, tanto più accelera la ripresa dal parto e l’involuzione dell’utero, riducendo il rischio di emorragie e mortalità;
  • riduce le perdite ematiche, contribuendo così a mantenere il bilancio del ferro;
  • prolunga il periodo d’infertilità post parto;
  • favorisce la perdita di peso e il recupero del peso forma;
  • riduce il rischio di cancro della mammella prima della menopausa, poiché consente alla ghiandola mammaria di completare la sua maturazione e quindi di essere più resistente a eventuali trasformazioni neoplastiche;
  • secondo alcuni studi, potrebbe contribuire a ridurre il rischio di cancro dell’ovaio e di osteoporosi.

I vantaggi per il bambino:

È ormai condiviso a livello internazionale che l’allattamento al seno:

  • riduce l’incidenza e la durata delle gastroenteriti;
  • protegge dalle infezioni respiratorie;
  • riduce il rischio di sviluppare allergie;
  • riduce il rischio di sviluppare sovrappeso e obesità;
  • migliora la vista e lo sviluppo psicomotorio;
  • migliora lo sviluppo intestinale e riduce il rischio di occlusioni.

L’allattamento al seno soddisfa efficacemente non solo le esigenze nutrizionali, ma anche i bisogni emotivo-psicologici del neonato: da subito crea un’intesa, che rafforza il legame affettivo, influenzando positivamente lo sviluppo fisico, psicologico e sociale del bambino. Attaccato al seno, il bimbo sente il calore e l’odore della pelle materna e si rilassa. La mamma riceve stimolazioni neurosensoriali, percepisce una sensazione di benessere e si sente gratificata.
Il latte materno, dunque, oltre ad essere un alimento perfetto, per la sua formula unica e irriproducibile, mutevole nel tempo, consente di consolidare il legame di dipendenza affettiva tra la mamma e il suo bambino attraverso un linguaggio di comunicazione intima basata sul reciproco scambio di sensazioni psico-fisiche, emozioni, amore e coccole.

In base ai dati del Rapporto di aggiornamento della Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (2012), il 90% delle madri inizia ad allattare in ospedale, ma al momento delle dimissioni la percentuale si colloca ben al di sotto, e in alcune realtà italiane non supera il 30%. Solamente in alcune strutture, classificate come “Ospedali amici dei Bambini”, cioè quelle in cui viene sostenuto l’allattamento al seno secondo il decalogo OMS-Unicef, si registrano al momento delle dimissioni tassi dell’80% con punte del 100%. Tali percentuali scendono drasticamente una volta rientrate al domicilio e nelle settimane successive tanto che l’allattamento esclusivo al seno nel primo semestre di vita (senza integrazioni con latte di formula) resta un evento raro stimato nella misura del 5% tra le donne italiane.
Nonostante tutti i pediatri siano concordi sulla necessità di favorire l’allattamento esclusivo al seno nei primi sei mesi di vita del neonato, secondo il parere della “Task force per l’allattamento al seno” della SIP (Società Italiana di Pediatria) c’è ancora molto da fare: le donne devono essere maggiormente informate del valore di questa scelta e motivate con un aiuto paziente, sin dai primi giorni.
La dichiarazione OMS/Unicef con i 10 passi per promuovere l’allattamento nelle neo mamme non è ancora adeguatamente diffusa nei punti nascita e gli “Ospedali Amici dei Bambini” coprono solo il 3,5% dei nati in Italia.

 

I dieci passi UNICEF-OMS per l’allattamento al seno.

L’UNICEF e l’OMS hanno redatto un decalogo di misure che ogni struttura sanitaria deve dimostrare di rispettare prima di poter essere riconosciuta “Ospedale Amico dei Bambini”.

  1. Definire un protocollo scritto per l’allattamento al seno da far conoscere a tutto il personale sanitario.
  2. Preparare tutto il personale sanitario per attuare compiutamente questo protocollo.
  3. Informare tutte le donne in gravidanza dei vantaggi e dei metodi di realizzazione dell’allattamento al seno.
  4. Mettere i neonati in contatto pelle a pelle con la madre immediatamente dopo la nascita per almeno un’ora e incoraggiare le madri a comprendere quando il neonato è pronto per poppare, offrendo aiuto se necessario.
  5. Mostrare alle madri come allattare e come mantenere la secrezione lattea anche nel caso in cui vengano separate dai neonati.
  6. Non somministrare ai neonati alimenti o liquidi diversi dal latte materno, tranne che su precisa prescrizione medica.
  7. Sistemare il neonato nella stessa stanza della madre (rooming-in), in modo che trascorrano insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale.
  8. Incoraggiare l’allattamento al seno a richiesta tutte le volte che il neonato sollecita nutrimento.
  9. Non dare tettarelle artificiali o succhiotti ai neonati durante il periodo dell’allattamento.
  10. Promuovere la collaborazione tra il personale della struttura, il territorio, i gruppi di sostegno e la comunità locale per creare reti di sostegno a cui indirizzare le madri alla dimissione dall’ospedale.

Le mamme vanno sostenute anche successivamente, al rientro a casa; molte donne sono però costrette a rientrare al lavoro prima dei sei mesi di età del bambino, spesso a causa di contratti di lavoro che non prevedono tutele adeguate durante la maternità, oltre alla mancanza di nidi aziendali che consentano l’allattamento al seno sul luogo di lavoro.

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Manuale per la valutazione dei punti nascita
Salute materno-infantile: il parto cesareo
Malattie infettive e vaccinazioni

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A.NA.VI. ONLUS

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Piccino Piccio' Associazione genitori neonati a rischio onlus

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SIP Società italiana di pediatria
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Gravidanzaonline.it
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