Il tumore dell’ovaio, chiamato nel mondo anglosassone “the silent killer”, è tra le malattie oncologiche di più difficile approccio. Per due ragioni, fondamentalmente: la sua biologia particolarmente “aggressiva” e l’assenza di sintomi specifici soprattutto nelle fasi inziali. Una caratteristica, quest’ultima, che porta a effettuare quasi 7 diagnosi su 10 quando la malattia è già in fase avanzata e dunque con ridotte possibilità di cura. Questo spiega perché, ancora oggi, il carcinoma dell’ovaio rappresenti la più comune causa di morte ginecologica.
Sebbene rappresenti la seconda forma di cancro più diffusa che può colpire un organo dell’apparato riproduttivo femminile (dopo quella dell’endometrio), i numeri del tumore dell’ovaio sono ancora piuttosto contenuti (per dati aggiornati “Numeri del cancro in Italia”: https://www.aiom.it/i-numeri-del-cancro-in-italia/ ).
Ad oggi non sono disponibili indagini diagnostiche validate su larga scala e utilizzabili come possibile screening da estendere alla popolazione femminile per una diagnosi precoce. Tuttavia, negli ultimi anni – grazie all’utilizzo più diffuso dell’ecografia transvaginale, agli sviluppi legati alla genetica e alla disponibilità di nuovi farmaci che consentono di cronicizzare la malattia – si è assistito a un progressivo aumento della sopravvivenza anche per le pazienti con tumore avanzato.
La ricerca in questo campo ha compiuto enormi passi in avanti, consentendo di comprendere alcuni meccanismi responsabili della moltiplicazione delle cellule tumorali, potenziale bersaglio per farmaci sempre più specifici ed efficaci.