Il dolore cronico rappresenta uno dei maggiori problemi sanitari nella realtà europea e americana, in considerazione delle gravi conseguenze sia individuali per gli effetti invalidanti di tipo fisico, psico-emozionale e socio-relazionale, sia collettive per gli importanti costi economici diretti (assistenza sanitaria e farmaci) e indiretti (assenze lavorative, riduzione della capacità funzionale) che hanno un impatto molto pesante sul sistema sanitario e sociale. Dal 15% al 28% della popolazione adulta europea soffre di dolore cronico (in media da almeno 5 anni). Il dolore dal punto di vista neurofisiologico rappresenta un importante meccanismo di difesa per il nostro organismo in quanto è la reazione neurofisiologica a un evento negativo lesivo della sua integrità o potenzialmente tale. Tuttavia, in alcuni casi, anche in brevissimi tempi, il dolore si autonomizza dalla causa che l’ha generato (trasformandosi da “acuto” a “cronico”), perdendo la sua funzione primaria protettiva e diventa addirittura dannoso e malattia in sé. Si crea in tal caso un’alterazione delle strutture nervose deputate alla sua conduzione, modulazione ed elaborazione che genera un sistema di auto-mantenimento/rafforzamento della sensazione dolorosa. Tale malattia è inevitabilmente correlata anche a una molteplicità di fattori di natura somatica e psico-emotiva che concorrono ad aggravare le manifestazioni e a mantenerle nel tempo con conseguente grave limitazione della performance psico-fisica del paziente. Il dolore dunque da sintomo diventa una vera e propria malattia. Compito del medico è definire e diagnosticare i meccanismi che sostengono questa malattia formulando una corretta diagnosi attraverso le caratteristiche, tipologia, semantica, andamento del dolore e sua associazione ad altre situazioni cliniche e/o effetti collaterali. Il problema del dolore cronico interessa molto da vicino le donne presentando, nel genere femminile, caratteristiche del tutto peculiari. Gli studi epidemiologici documentano che molte delle sindromi dolorose croniche tendono ad avere incidenza maggiore nella popolazione femminile; le donne, inoltre, spesso presentano multiple condizioni dolorose concomitanti e l’assetto ormonale può condizionare in maniera significativa sintomatologie peculiari nelle donne. Secondo i dati prodotti dalla IASP (International Association for the Study of Pain), in Occidente circa dodici milioni di donne soffrono di dolore cronico; nel nostro Paese il 56% della popolazione è rappresentato da donne. Tra le cause più comuni di dolore cronico declinato al femminile si annoverano sindromi dolorose molto comuni quali lombalgie, cefalee ed emicranie, artrosi, artrite reumatoide, sindrome del colon irritabile, osteoporosi, dolore oncologico e neuropatico. Oltre a queste sindromi bisogna ricordarne alcune che interessano prevalentemente (o completamente) il genere femminile; tra queste si possono menzionare la fibromialgia, il dolore pelvico cronico e le patologie dolorose di pertinenza ginecologica quali la dismenorrea (che si stima colpire una donna su due in età fertile) e l’endometriosi sintomatica. Il dolore pelvico cronico (tra cui si possono annoverare anche la cistite interstiziale e la vulvodinia) merita particolare attenzione dal momento che rappresenta una delle condizioni patologiche specificatamente femminili più ricorrenti e di più complesso approccio diagnostico – terapeutico. Valutando la maggior incidenza nella popolazione femminile delle sindromi dolorose croniche, bisogna anche considerare che le donne dimostrano, in ragione delle proprie caratteristiche di genere, una maggiore sensibilità al dolore. Infatti, differenze anatomiche e fisiologiche come quelle ormonali precedentemente accennate, influenzano l’attività del sistema nervoso, rendendolo più sensibile e reattivo agli stimoli in generale e dunque anche a quelli dolorosi. Studi scientifici hanno evidenziato come estrogeni, progesterone e altri ormoni sessuali esercitino i propri effetti sia sul sistema neurologico nocicettoriale sia sul circuito attenzione-apprendimento-memoria della sfera cognitiva, rendendo ragione del fatto che le donne possano essere più ricettive dello stimolo doloroso, registrandolo con maggiore intensità e ricordandolo meglio e più a lungo. Deve inoltre considerarsi la dimensione emotivo-social-culturale: la donna, in virtù del proprio ruolo sociale e familiare, che spesso la porta a occuparsi delle sofferenze altrui, ha un rapporto molto intimo con il dolore ed è pertanto particolarmente sensibile al fenomeno. Questo, quindi, pone anche attenzione al contesto specificatamente culturale-sociale in cui la donna è inserita, modificando altresì anche l’obiettivo terapeutico (non solo dolore, ma l’obiettivo di ritorno funzionale del soggetto con dolore cronico). Il dolore cronico, quindi, richiede un approccio mirato e globale al fine di individuare le soluzioni terapeutiche più opportune correlate allo specifico meccanismo fisiopatologico che sostiene quella malattia. Bisogna ricordare tra l’altro che il trattare in modo non corretto la “malattia dolore” può portare a conseguenze gravemente invalidanti che inficiano la qualità della vita investendo tutti gli ambiti, personale, familiare, socio-relazionale e professionale. Oltre alle limitazioni prettamente funzionali (importanti dal punto di vista dell’integrazione del paziente nel suo contesto familiare-sociale), si devono considerare anche gli effetti negativi di una sintomatologia dolorosa cronica sull’equilibrio psico-emotivo. Infatti, il dolore è normalmente interpretato, anche a livello psichico, come segnale di allarme; se perdura nel tempo tale allarme continuo può alterare le capacità psichiche del soggetto nell’affrontare la realtà quotidiana del paziente (sensazione di “assedio continuo”) fino all’insorgenza di disturbi emotivi, quali depressione e ansia. In tale situazione diventa quindi importante distinguere tra la complessa fisiopatologia della malattia dolore e i disagi conseguenti a tale dolore, comprese le manifestazioni depressive che con il passare del tempo tendono a cronicizzare e a trasformarsi anch’esse in patologia a sé stante. Dolore cronico e depressione presentano un’interazione di tipo bidirezionale anche dal punto di vista neurofisiologico in quanto condividono alcuni mediatori neurochimici del sistema nervoso centrale, quali serotonina e noradrenalina, coinvolti nelle vie nervose interessate sia del dolore sia dell’umore; alterazioni di tali sistemi dovuti a depressione possono concorrere nell’amplificare il messaggio nocicettivo in quanto sono inibiti i suoi sistemi di controllo (inibizione dell’inibizione=facilitazione). Si può instaurare in alcune situazioni, dunque, un meccanismo di alimentazione e amplificazione reciproca tra dolore fisico e psicologico, un vero e proprio circolo vizioso che tende a peggiorare progressivamente le due componenti. Inoltre i frequentemente concomitanti disturbi del sonno concorrono ad aggravare il quadro generale. Infine in questo contesto bisogna anche porre attenzione ai possibili effetti collaterali dei farmaci che vengono utilizzati per la gestione del dolore cronico. Nel dolore cronico benigno, termine con cui s’intendono tutte le forme di dolore cronico non dipendenti da neoplasie, l’obiettivo prioritario non è solo la riduzione del dolore, ma anche la limitazione degli effetti del dolore sull’autosufficienza e sulle capacità di partecipazione alla vita familiare, sociale e lavorativa. È fondamentale un approccio multidimensionale e multidisciplinare alla problematica, che consideri i disturbi correlati della sfera somatica e psicologica nelle loro molteplici espressioni, basato sull’intervento integrato di competenze diverse ma tra loro complementari. La scelta della terapia dipende dal meccanismo specifico di dolore tenendo però in considerazione le caratteristiche anamnestiche specifiche di quel paziente e i possibili effetti collaterali già lamentati (terapia individualizzata). Inoltre, essendo una malattia cronica complessa è mandatoria una continua rivalutazione del paziente per adattare la terapia ai cambiamenti della malattia e agli eventuali effetti collaterali che possono intercorrere. Ovviamente, nel caso in cui il dolore sia sostenuto anche da una patologia di base ancora risolvibile, parte del programma terapeutico dovrà essere indirizzato al trattamento specifico, farmacologico o chirurgico, della stessa. Per quanto riguarda le soluzioni terapeutiche per il controllo del dolore, il panorama delle possibilità è molto ampio sia di tipo farmacologico sia di tipo chirurgico. Le strategie chirurgiche sono indirizzate a interventi “diretti” sulle strutture nervose che compongono le vie del dolore e sono rappresentate nello specifico da neurostimolazione, neuromodulazione, neurolesione e blocchi nervosi. Secondo i dati della letteratura internazionale, il controllo farmacologico del dolore deve essere attuato attraverso un approccio sequenziale e graduale che prevede l’impiego dei farmaci che possono modulare gli specifici meccanismi fisiologici interessati; si può, quindi, utilizzare un ampio spettro di categorie farmacologiche, come anche antiepilettici e antidepressivi, qualora il dolore sia sostenuto da alterazioni delle vie nervose (dolore neuropatico). Nonostante si registri una diversa risposta terapeutica agli analgesici tra uomini e donne, ancora oggi la maggior parte degli studi clinici viene condotta arruolando prevalentemente uomini ed estrapolando successivamente i risultati alla popolazione femminile. Appare ormai evidente che sia, invece, cruciale che i trials clinici dedicati alla valutazione di efficacia e sicurezza dei nuovi farmaci in ambito algologico fossero condotti inserendo negli studi le donne e conducendo un’analisi dei dati genere-mirata. In considerazione della componente emozionale del dolore e delle importanti conseguenze psichiche che possono derivare, deve menzionarsi, a completamento delle opzioni terapeutiche, la terapia psico-comportamentale e il sostegno psicologico che garantiscono un approccio multidimensionale al fenomeno, consentendo di identificare ed analizzare tutte le componenti – somatica, cognitiva, comportamentale, affettivo-emozionale –coinvolte. Infine appare necessario fare qualche considerazione specifica riguardo il dolore nel paziente con tumore. Per la sua complessità e i molteplici aspetti che lo caratterizzano, l’impostazione del programma terapeutico non può prescindere dalla fase evolutiva della malattia, dall’aspettativa di vita della paziente, dal suo atteggiamento psicologico, dalle preferenza terapeutiche nonché dalle abitudini personali. Inoltre, il controllo del dolore non solo è fondamentale, ma deve anche essere rapido, poiché consente al malato di partecipare alla vita sociale e familiare, di concentrare le proprie energie nella cura della patologia e di mantenere una vita il più possibile serena e dignitosa. Nella maggior parte dei casi il dolore nel paziente con tumore può essere controllato efficacemente attraverso l’impostazione di programmi integrati comprensivi di terapie anticancro (chemio-, radio- e ormonoterapia) e farmaci analgesici. I farmaci sistemici consentono di ridurre il dolore nel 90% dei casi; per la restante percentuale di pazienti si rende necessario ricorrere a procedure invasive. (Libro bianco Onda 2013)